Come Irene Tinagli ha smontato le bufale della Lega e dei sovranisti sul MES

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-12-03

Ieri a Otto e Mezzo è andata in scena l’ennesima discussione sul MES. Incredibilmente dei cinque presenti (quattro di loro erano giornalisti) solo l’europarlamentare Irene Tinagli sapeva di cosa si stava parlando. Al punto che ci si chiede cosa abbiano capito gli italiani del dibattito sul Meccanismo Europeo di Stabilità

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Dopo il dibattito parlamentare di ieri continua la saga del MES. Il Meccanismo Europeo di Stabilità che sta appassionando grandi e piccini grazie alla decisione della Lega e di Matteo Salvini di aprire un nuovo fronte nello scontro con il Governo e soprattutto con Giuseppe Conte. Una scelta incomprensibile ai più visto che la Lega era andata al governo con la promessa di riformare i trattati europei. Sembra davvero assurdo che proprio quel partito, che prometteva addirittura di mettere mano al trattato di Maastricht non si sia accorto della trattativa per la riforma del MES e non abbia fatto nulla per “cambiarlo”.

Tutti parlano del MES, pochi dicono le cose come stanno

I fatti ci dicono però ché la Lega sapeva benissimo cosa stava succedendo a livello europeo e che in diverse occasioni abbia deciso di non intervenire. Se si esclude la richiesta di “sospendere” le trattative in vista delle elezioni europee (ma solo perché i leghisti speravano che i sovranisti vincessero ovunque) e quella generalissima di non approvare “condizioni peggiorative” per l’Italia (Giovanni Tria, ministro del Conte 1, sostiene non lo siano) la Lega non ha mosso un dito per fermare la riforma del MES. Né avrebbe potuto: si decide a maggioranza.

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Uno dei grandi temi di questo dibattito è l’obbligo per l’Italia di ristrutturare il debito pubblico come pre-condizione per chiedere l’aiuto del Fondo Salva Stati. Questo però non è vero. Innanzitutto perché è abbastanza ovvio che un paese in difficoltà tali da dover ricorrere al MES debba mettere in atto misure per il contenimento del debito pubblico. In secondo luogo il trattato prevede la possibilità di  accedere ad una Enhanced Conditions Credit Line per quei paesi che non sono in linea con i parametri. Mettiamoci nei panni dei creditori (ovvero di coloro che prestano il denaro): chi finanzia il MES vuole delle garanzie sul fatto che lo Stato debitore sia in grado di ripagare il prestito. L’allegato III della bozza di riforma stabilisce che «possono accedere a una linea di credito soggetta a condizioni rafforzate i membri del MES cui il mancato soddisfacimento di alcuni criteri di ammissibilità preclude l’accesso a una linea di credito condizionale precauzionale, ma che presentano una situazione economica e finanziaria generale comunque solida e un debito pubblico sostenibile».

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Non è poi nemmeno vero che il MES, come sosteneva ieri sera da Lilli Gruber Franco Bechis, deciderà “al posto” della Commissione Europea. Nella bozza di Trattato si legge che «la Commissione europea assicura la coerenza con il diritto dell’Unione europea, in particolare con il quadro di coordinamento delle politiche economiche. Il MES effettua l’analisi e la valutazione dalla prospettiva del prestatore». Riguardo invece al fatto che siano state salvate le banche spagnole e non quelle italiane questo è dovuto al fatto che l’Italia (legittimamente) ha scelto di non chiedere l’aiuto del Fondo per evitare di avere la famigerata troika in casa. Avrebbe potuto farlo, con le conseguenze del caso.

Come funziona il prestito del MES

Ieri ad Otto e Mezzo la Presidente della Commissione problemi economici e monetari del Parlamento Europeo Irene Tinagli (PD) ha ribadito che «in nessuna parte del Trattato è previsto alcuna forma di costrizioni alla ristrutturazioni del debito né tantomeno mettere le mani nei conti correnti». Se si confronta la precedente versione del trattato con quella della bozza di riforma si noterà che già con il trattato del 2012, quello la cui trattativa venne condotta dal Governo Berlusconi a partire dal 2010, si parla della necessità di «valutare la sostenibilità del debito pubblico».

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Chi oggi si preoccupa che un organismo comunitario (e non un ente privato come dice Salvini) possa fare delle valutazioni sulla sostenibilità del debito evidentemente non ha mai avuto la necessità di chiedere un prestito o accendere un mutuo. Perché è esattamente il tipo di valutazione che viene fatta. E non ci si illuda che un genere di “calcolo” non venga fatto ogni qualvolta che il nostro Paese emette dei titoli di Stato e li colloca sul mercato. In quel caso sono i mercati stessi a valutare la sostenibilità del nostro debito pubblico. Il “famigerato” spread o il giudizio delle agenzie di rating servono proprio a misurare la capacità dell’Italia di ripagare i prestiti fatti dagli investitori.

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Pensare che il Fondo Salva Stati non debba fare questo genere di valutazioni, o che addirittura – come proponeva ieri Franco Bechis dalla Gruber – la partecipazione italiana al MES sia subordinata ad un attestato di “sostenibilità” del nostro debito (valido per quanti mesi o anni?) è un’assurdità. Anche perché da anni i sovranisti chiedono che la BCE sia il prestatore di ultima istanza (Salvini lo diceva proprio in occasione delle europee), come è che quando il prestatore di ultima istanza si chiama “MES” la cosa non va più bene? Anche perché se il nostro debito pubblico è sostenibile dovremmo preoccuparci del problema inverso; vale a dire di avere la certezza che i paesi cui il Fondo presterà i soldi (tra cui quelli messi dall’Italia) siano in grado di onorare il debito contratto con il MES. E soprattutto evitare che una nuova crisi possa contagiare i membri dell’Eurozona come è già successo in passato. I sovranisti non si capisce bene cosa vogliano: se risparmiare sui soldi versati al MES, avere la possibilità di far saltare i conti pubblici e poter lo stesso chiedere un prestito agli altri oppure evitare di salvare gli altri se e quando sarà necessario. Il MES è come una scialuppa di salvataggio, finché la barca galleggia non ne hai bisogno. Quando inizia ad affondare però è meglio averla.

 

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