Se a Di Maio non piace il ddl Pillon perché non fa ritirare le firme dei senatori M5S?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-04-11

Il vicepremier ieri si è accorto che la proposta di legge di riforma del diritto di famiglia in materia di affido condiviso e bigenitorialità non è abbastanza “di buonsenso” e ha detto che va riscritta assieme alle opposizioni. Ma è lo stesso Di Maio che ha firmato il contratto di governo dove è esplicitamente scritto quello che poi è finito nel DDL Pillon? Lo stesso Di Maio che è Capo Politico del partito di quattro firmatari del disegno di legge?

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C’è troppa rigidità nel DDL Pillon sull’affido condiviso e quindi «va riscritto, perché rischia seriamente di minare l’equilibrio e la stabilità quotidiana dei figli». Lo dicono da mesi le opposizioni, lo dicono avvocati ed esperti di diritto familiare, finalmente se ne è accorto anche il Capo Politico del MoVimento 5 Stelle. Secondo Luigi Di Maio «come si può pensare che un bambino debba passare 15 giorni con il papà e 15 giorni con la mamma come se fosse una formula matematica? È giusto, ma solo in teoria». La richiesta del vicepremier arriva dopo che l’Ufficio di presidenza della commissione Giustizia del Senato aveva deciso di rinviare ulteriori discussioni sul testo fino al 7 maggio.

Di Maio si è accorto che il DDL Pillon non aiuta i figli dei divorziati

Di Maio conferma che il M5S non è un movimento politico ma un movimento d’opinione. Non si è ancora accorto di quell’articolo della legge che fa riferimento all’alienazione parentale e alle teorie di Richard Gardner, uno che sosteneva che le donne – le isteriche come direbbe qualcuno – provino piacere ad essere picchiate, oppure che in fondo la pedofilia non è poi così male. Si concentra sull’aspetto del tempo condiviso perché addentrarsi nei meandri del testo di legge sarebbe troppo tecnico. Di Maio dice però anche dell’altro: «sia chiaro la mia vuole essere una critica costruttiva, che faccio ovviamente a nome di tutto il MoVimento 5 Stelle».

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Naturalmente non può essere una bocciatura completa, perché una riforma del diritto di famiglia è prevista nel contratto di governo dove si parla della necessità di «assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori», proprio la parte che a Di Maio non piace. Come mai il vicepremier non ha fatto queste obiezioni quando è stato stilato il famoso Contratto? Forse non aveva letto bene o il concetto di “tempi paritari” non sembrava alludere ad una “formula matematica”. E sempre nel contratto è scritto che va valutata «l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale», una  presunta malattia psichiatrica che non esiste né per OMS né per il Ministero della Sanità.

Il problema di Di Maio: le firme dei senatori pentastellati al DDL Pillon

Di Maio però dimentica anche un altro piccolo dettaglio. Quel disegno di legge che lui critica – per carità in maniera “costruttiva” – porta le firme di quattro senatori del MoVimento 5 Stelle (Giarrusso, D’Angelo, Evangelista e Riccardi). Di Maio ieri ha detto che il DDL va riscritto. E pare di intuire che vada modificato in maniera radicale perché il vicepremier scrive «sediamoci al tavolo, riscriviamo la legge, facciamolo anche con le opposizioni». Insomma sembra proprio che così com’è il testo debba essere ritirato, perché non è immaginabile riscrivere un DDL con le opposizioni a colpi di emendamenti.

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Il frontespizio del “DDL Pillon” di cui sono firmatari anche i senatori Giarrusso, D’Angelo, Evangelista e Riccardi del M5S [Fonte]
Non sembra pensarla così il senatore leghista Simone Pillon, primo firmatario della legge, che ieri ha fatto sapere che «si avanti con il mio testo. Ho sempre detto che il mio DDL è un punto di partenza, fa parte del contratto di governo ed è migliorabile». Ma quello a cui pensa Di Maio sembra più uno stravolgimento del testo, non un semplice “miglioramento”. Che farà a quel punto Pillon?

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Di Maio – che curiosamente non ha menzionato il fatto che quella legge è stata scritta anche da quattro M5S –  ha ora l’occasione di dimostrare di saper tener testa alla Lega. Come? Facendo ritirare le firme dei quattro senatori pentastellati al DDL Pillon. Lo chiede anche la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione sul femminicidio «Anche Di Maio dice no al ddl Pillon. Bene. La nostra ferma battaglia è servita! Adesso però Di Maio faccia seguire i fatti alle parole: ci sono ancora delle firme di parlamentari del M5S sotto quel ddl. Se il vicepremier fa sul serio, dica ai suoi parlamentari di ritirarle».

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