Crisi di governo, il dilemma di Salvini

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-10-19

Il segretario della Lega a un bivio: può arrivare facilmente alla rottura con il M5S sulla pace fiscale ma non ha nulla da guadagnarci. Mentre una crisi dopo le Europee potrebbe essere più funzionale ai suoi obiettivi. E a fregare definitivamente Di Maio & Co.

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Essere o non essere, questo è il dilemma di Salvini. Ieri il leader del Carroccio ha minacciato di non presenziare al consiglio dei ministri convocato da Giuseppe Conte per mettere una pezza sulla faccenda della pace fiscale con scudo agli evasori che il vicepremier grillino ha fatto scoppiare a Porta a Porta accusando manine di complotti non meglio precisati. Poi è tornato indietro, nella migliore tradizione leghista che già con Bossi ai tempi dell’alleanza con Berlusconi faceva cadere a parole il governo una volta al mese, salvo ripensarci in extremis ogni volta.

Crisi di governo, il dilemma di Salvini

Qui la situazione è però leggermente più complessa. E il dietrofront del Capitano, testimoniato da quel “Se serve ci sarò” detto in tarda serata quando alcuni giornali avevano chiuso le prime pagine è la testimonianza del dilemma che oggi attanaglia Salvini. Il quale aveva sì programmato la caduta del governo con il MoVimento 5 Stelle, ma aveva anche stabilito una data imprecisata ma dopo il voto alle elezioni europee, dove il Carroccio programmava di sbancare “rubando” voti al resto del centrodestra che corre in soccorso del vincitore nella migliore tradizione italiana, ma anche a quei grillini che con Di Maio vivono una crisi di leadership dai contorni prettamente isterici. Una crisi di governo ora, sulla pace fiscale e sulla poco commendevole politicamente – anche se comprensibile logicamente – faccenda dello scudo penale agli evasori metterebbe in difficoltà anche il Carroccio.

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Quanto risparmiano i grandi evasori con la pace fiscale (La Stampa, 18 ottobre 2018)

Per questo il consiglio dei ministri in programma oggi, che forse si potrebbe protrarre ancora fino alla fine della settimana e alla chiusura delle urne in Trentino Alto Adige,  potrebbe far scoppiare prima o poi la pace e l’accordo tra le due forze di governo, che potrebbero arrivare persino a negare che le liti continue tra il M5S, il Carroccio e i tecnici dei ministeri siano mai accadute. D’altro canto il governo e il suo premier hanno negato anche le minacce di dimissioni di Giuseppe Conte, forse anche lui arrivato all’esaurimento tra scudi fiscali e lettere della Commissione Europea.

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Il Carroccio e l’addio programmato al M5S

A Palazzo Chigi è tutto pronto per tagliare la norma indigesta per la base grillina che nel fine settimana è convocata al Circo Massimo per la manifestazione «Italia 5 Stelle», che si preannuncia molto meno partecipata del solito. E Di Maio non si può presentare in piazza con lo scudo per gli evasori sulla coscienza. Salvini d’altro canto non ha esitato a rimettere il dito sulla piaga: «Non è facile spiegare qui a Bolzano, dove non è abusiva nemmeno una fioriera, perché nel decreto su Genova ci sia il condono edilizio per Ischia. Perché Ischia sì e la pace fiscale no? Non tutti gli elettori della Lega sono felici per il reddito di cittadinanza. Ma è nei patti e si fa». Questo per sottolineare che la materia del contendere rimane sul tavolo. La pace fiscale, così come è scritta la norma circolata nelle bozze del dl fiscale, è una dichiarazione integrativa che diventa ‘speciale’ estendendosi anche all’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (Ivie) e all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe), tipiche della voluntary disclosure.

luigi di maio

La misura prevede gli sconti penali tipici dello scudo sui capitali all’estero, ma rispetto allo scudo, per come è scritta la norma, non si configura come un’emersione totale di nuovi patrimoni, piuttosto come la possibilità di regolarizzare gli immobili o i conti correnti detenuti all’estero già dichiarati al fisco, rettificando il quadro RW della dichiarazione dei redditi ovvero ‘Investimenti all’estero e/o attività estere di natura finanziaria – monitoraggio – Ivie/Ivafe’. Le norme sono coerenti con l’obiettivo di fare in modo che alla Pace Fiscale del governo Lega-M5S aderiscano più evasori possibile. Senza quegli sconti penali ciascun aderente rischia di confessare automaticamente reati per i quali sono previste pene fino a dieci anni di galera. Nel momento in cui si decide di fare i condoni, è automatico che si preveda di non punire penalmente chi aderisce, per la banale motivazione che altrimenti non aderirebbe nessuno.

Una soluzione diplomatica prima delle urne

Sic stantibus rebus, uno dei due deve cedere. E visto che Salvini è l’azionista di minoranza del governo, è più logico che sia lui, oggi o lunedì, a cedere al MoVimento 5 Stelle in assetto di guerra. Non che la Lega scherzi, visto che il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari ieri diceva che se bisogna rivedere l’accordo sulla pace fiscale allora c’è da rivedere anche quello sul reddito di cittadinanza. Ma il compito dei dioscuri è quello di seguire la strategia elettorale del Capo: sarà Salvini a decidere se staccare la spina davvero mentre deflagra lo scontro con l’UE. E la prudenza dovrebbe consigliargli… prudenza, almeno per ora.

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Pace fiscale, condono e scudo: le pietre dello scandalo (Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2018)

Ma come chiudere il contenzioso? Enrico Marro sul Corriere della Sera dice che un’ipotesi di compromesso potrebbe essere quella di togliere dalla sanatoria i proventi da immobili e attività finanziarie detenuti all’estero, che non erano compresi nelle prime bozze del decreto, abbassare il tetto dei redditi da regolarizzare ed escludere riciclaggio e autoriciclaggio. Insomma trasformare il condono da maxi a mini. Sarebbe una vittoria su tutta la linea per il MoVimento 5 Stelle, ma la Lega potrebbe in cambio chiedere qualcos’altro direttamente nella legge di bilancio. C’è un dettaglio: così la Pace Fiscale rischia di trasformarsi in un flop epocale, visto che nessuno sarà incentivato ad aderire rischiando così di finire in galera per le sue stesse confessioni al fisco. Il gettito programmato dal provvedimento nel DPB è di appena 180 milioni, ma non è un segreto che dietro ci fosse la speranza di trovarsi un tesoretto da spendere o da mandare a correzione dei conti in caso di problemi nei prossimi mesi. Così si rimane appesi sul filo. Con lo spread che corre. Il compromesso fa parte dell’arte della politica, mica dei bilanci.

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