Riaperture dopo il 13 aprile: il piano a tappe per ogni regione

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-04-05

Il piano per la riapertura graduale del paese sarà graduale e prevederà nuovi divieti. «Dobbiamo cominciare a dire agli italiani una verità scomoda. Non possiamo illuderci di tornare alla completa normalità a giugno o a luglio»

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Con ogni probabilità sarà varato venerdì il prossimo DPCM e in quei giorni si conoscerà anche il piano a tappe per le riaperture dopo il 13 aprile. Spiega oggi Il Messaggero che sarà in quei giorni che il governo deciderà – d’intesa con le Regioni e le parti sociali grazie alla nuova cabina di regia – se e come prolungare le misure di contenimento: «Ogni decisione sarà presa sempre in base all’andamento dell’epidemia e in ragione delle analisi e dei pareri degli scienziati», spiegano a palazzo Chigi, «ma il “come” e il “quando” sarà stabilito dal governo».

Riaperture dopo il 13 aprile: il piano a tappe

Ovvero, come ha detto Franco Locatelli del Consiglio Superiore di Sanità, la decisione sarà politica in base ai pareri del Comitato Tecnico-Scientifico.  Nella maggioranza, racconta il quotidiano, vogliono mettere nero su bianco nei prossimi giorni un “Piano per la riapertura graduale”del Paese.

Per non farsi trovare impreparati. Per dare agli italiani un po’ di speranza e indicare una luce in fondo al tunnel della clausura, che ormai va avanti dal 9 marzo. E per evitare che i passi verso un graduale allentamento della stretta, inneschino la confusione che ha accompagnato da febbraio in poi l’adozione delle misure di contenimento e nuovi ruvidi contrasti con le Regioni. «Questa volta, grazie alla cabina di regia tra governo e Regioni, nessuno andrà in ordine sparso», spiegano a palazzo Chigi, «e ciò non dovrà avvenire neppure per i test sierologici, che dovranno essere uguali in tutto il Paese per evitare valutazioni distorte a causa della disomogeneità delle rilevazioni».

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Coronavirus: i numeri del 4 aprile (La Repubblica, 5 aprile 2020)

Questo perché dopo il picco e il plateau annunciati l’epidemia non sembra rallentare alla velocità che ci si aspettava. O meglio: mentre in alcune regioni i numeri sono incoraggianti, in altre no. Per questo si va nella direzione di una riapertura scaglionata o a tappe per territorio:

Con ogni probabilità l’allentamento progressivo delle misure di contenimento avverrà in modo scaglionato Regione per Regione. E per fasce di età, lasciando a casa le persone più anziane e dunque più a rischio-contagio. Soprattutto, il governo – anche sotto la spinta di Confindustria, dei ministri Roberto Gualtieri (Economia), Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) del Pd e di Renzi – sta valutando un approccio diverso le imprese. Così già dopo Pasqua, probabilmente, verrà concessa una ripresa delle attività legate ai cantieri edili e alle filiere dell’agroalimentare, farmaceutica e sanità.

La Fase 2 dell’allentamento delle misure

Per la Fase 2 invece si attende maggio ma potrebbe slittare. E potrebbe in ogni caso portare con sé regole come quelle sulle mascherine obbligatorie per tutti e la distanza di sicurezza da rispettare con chiunque. Soltanto quando l’indice RO (numero di contagi per ogni positivo) scenderà allo 0,5 (ora è all’1,1-1,0) sarà ipotizzabile programmare la riapertura di negozi, bar, ristoranti. Per tornare allo stadio, in discoteca, o per partecipare a eventi e congressi, invece si dovrà attendere un RO pari a zero. Ovvero la fine dell’epidemia. Il Corriere della Sera oggi intervista Alessandro Vespignani, 55 anni, nato a Roma, fisico informatico, direttore del «Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems», alla Northeastern University di Boston.

In questi giorni l’Italia sembra aver raggiunto il picco dei positivi, ma l’incremento dei casi continua a restare alto e la discesa non arriva, come era nelle attese…
«Bisogna stare sempre molto attenti a fare questi calcoli. Non dobbiamo seguire i numeri giorno per giorno,ma almeno su base settimanale. Può darsi che il dato sia ancora alto perché ci sono Regioni che stanno facendo più tamponi. È chiaro che occorre pazienza. In ogni caso la curva dell’Italia è in frenata e sta cominciando la discesa, come si vede dai dati che arrivano dagli ospedali,dove si stanno liberando posti. E questa è la cosa importante».

Ma quando verrà il momento, la discesa verso il livello zero sarà più veloce?
«Dipende da come ci comporteremo tutti quanti. Ho visto immagini di città affollate in questi giorni, magari dove il contagio non si è ancora diffuso. Sbagliato, non è il momento di rilassarsi. Dobbiamo, invece, insistere. Abbiamo davanti l’esempio della Cina. Lì il “lockdown” è durato tre mesi».

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La curva dei contagi da Coronavirus (Corriere della Sera, 5 aprile 2020)

Come va usato questo tempo?
«Dobbiamo cominciare a dire agli italiani una verità scomoda. Mi rendo conto che è difficile farlo con un Paese praticamente in ginocchio, ma non possiamo illuderci di tornare alla completa normalità a giugno o a luglio. Queste sono le settimane in cui l’Italia deve dotarsi di un’infrastruttura di controllo che neanche immaginava fosse necessaria quattro settimane fa. Qui l’esempio è quello della Corea del Sud. Dovremo essere in grado di mantenere le cautele necessarie di distanza sociale, ma soprattutto di tracciare i casi positivi, eseguire i test per isolare le possibili persone infettate. Occorre essere in grado di fare i tamponi porta a porta».

Perché in Italia ci sono più vittime? Negli Stati Uniti il tasso di mortalità sembra molto più basso… 
«Ci sono diverse ragioni. Innanzitutto è un errore contare i morti in rapporto ai casi positivi. Non è quello il tasso di mortalità reale. Il numero di vittime che vediamo oggi si riferisce a persone che hanno contratto la malattia venti giorni fa. Se vogliamo fare un calcolo indicativo, dovremmo rapportare questo numero alla quota dei contagiati dello stesso periodo, di venti giorni fa appunto. Poi ci sono anche criteri diversi per classificare le cause di morte. Ma, se posso dire, ci sono altri parametri molto importanti. In Italia l’età mediana dei deceduti è 80 anni, mentre quelle delle persone che finiscono in ospedale è di 60. Significa che anche le fasce più giovani della popolazione sono a rischio ricovero».

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