Attualità
I dubbi sull’obbligo di mascherine per la fase 2
Alessandro D'Amato 04/04/2020
A partire dal 13 aprile l’esecutivo spera di cominciare a scaglionare le riaperture nelle due settimane successive tenendo conto dell’indice di contagio R0. Ma quella di riaprire non sarà una decisione affidata al Comitato Tecnico-Scientifico di Palazzo Chigi, ma sarà una decisione politica alla quale loro daranno il necessario supporto e un parere
Il piano per la fase 2, quella dell’allentamento delle misure della quarantena per il Coronavirus, impegna il governo in queste ore: a partire dal 13 aprile l’esecutivo spera di cominciare a scaglionare le riaperture nelle due settimane successive tenendo conto dell’indice di contagio R0 – o erreconzero – che attualmente oscilla tra 1,1 e 1 e dovrebbe arrivare tra lo 0,7 e lo 0,5.
I dubbi sull’obbligo di mascherine per la fase 2
Spiega oggi Il Messaggero che l’intenzione è comunque di scavallare il 3 maggio 2020 per evitare che le persone possano andare in giro durante i “ponti” del 25 aprile e del 1 maggio. E proprio sulla base di questo il governo stilerà il calendario.
Le piccole e medie imprese che fanno da supporto alla filiera alimentare e farmaceutica, ma anche quelle meccaniche sull’agroalimentare, potrebbero avere il permesso di riprendere l’attività a metà aprile. Così come qualche negozio che ha spazi sufficienti a rispettare la distanza di sicurezza di almeno un metro. Altra questione sulla quale si sta ragionando, è quella dell’uso obbligatorio dei dispositivi di protezione personale. È possibile, infatti, che si decida di imporre le mascherine e i guanti come regola fissa e ancora per un lungo periodo.
In questa ottica va ricordato quello che ha spiegato ieri Franco Locatelli dell’Istituto Superiore di Sanità: quella di riaprire non sarà una decisione affidata al Comitato Tecnico-Scientifico di Palazzo Chigi, ma sarà una decisione politica alla quale loro daranno il necessario supporto e un parere. Si tratta di un concetto finora sfuggito a quelli che ieri hanno scatenato il tiro a segno su Angelo Borrelli della Protezione civile per le comunque inopportune frasi sulla fase 2 il 16 maggio.
Il pressing delle categorie produttive, Confindustria in testa, è forte, ma a pesare è soprattutto il timore che di fatto non ci sarà mai un dopo-virus e che occorre quindi organizzarsi per convivere con il Covid-19 mantenendo tutte le precauzioni e tutelando le categorie più esposte. Quindi «niente estremismi prescrittivi», come li chiama un esponente del Pd, «perché se il Paese resta fermo per un altro mese rischiamo di avere morti, ma non per il virus». Serve un piano, che al momento non c’è e sul quale nessuno sta lavorando, che faccia ripartire il Paese che, per decreto, è chiuso sino al 13 aprile.
Conte, che ieri per primo si è innervosito per la sortita di Borrelli, continua però a predicare prudenza pur condividendo la proposta del Pd. Una cautela dovuta non solo alla curva dei contagi che non scende come si vorrebbe, ma anche dalla mancanza di alcuni presidi sanitari, a cominciare dalle mascherine, che sono fondamentali per chi dovrà tornare a lavorare tra una settimana o tra un mese.
Le mascherine obbligatorie per tutti?
C’è discussione anche intorno alla questione delle mascherine obbligatorie per tutti dopo la storia del Coronavirus nell’aria e sulle conseguenze riguardo l’uso dei dispositivi di protezione individuali. Elena Dusi, autrice dell’articolo di Repubblica molto contestato, spiega oggi:
Ci si può contagiare restando nella stanza con un malato, anche rispettando il limite di 1-2 metri? Come spiega Fineberg, è solo un sospetto. Il presidente dell’Istituto Superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro ribadisce: «Mancano certezze». La capacità dei virus di circolare nell’aria «è nota nei contesti sanitari», dove un gran numero di pazienti è concentrato in spazi ristretti. Qualora emergessero dati più sicuri, aggiunge Brusaferro, «valuteremo» le indicazioni sulle mascherine». In ogni caso, aggiunge Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Iss, «è escluso che il virus circoli all’aria aperta».
Un esperimento del Niaid sul New England Journal of Medicine ha misurato in tre ore la permanenza massima del coronavirus nell’aria. Anche se la quantità di microrganismi si dimezza in un’ora, è molto più di quanto ci si aspettasse. Il Nebraska Medical Center ha trovato campioni di coronavirus nell’aria delle stanze dove erano stati isolati dei malati, a oltre un metro di distanza dai letti, inclusi i corridoi esterni e i bocchettoni di aerazione. Un altro esperimento del Mit di Boston ha misurato in 7-8 metri la distanza cui può arrivare uno starnuto. Uno studio pubblicato ieri su Nature Medicine dall’università di Hong Kong ha riscontrato la presenza di coronavirus sia nelle goccioline che negli aerosol emessi da alcuni volontari con la tosse. Indossare la mascherina poteva ridurre la carica virale.
«Una persona malata che respira a lungo in un ambiente piccolo e non ventilato concentra virus nell’aria», spiega Carlo Federico Perno, virologo dell’Università di Milano. «La probabilità di ammalarsi e la severità dei sintomi dipendono dalla carica virale, cioè dalla quantità di virus inalata». Non sappiamo nemmeno quale sia la soglia di microbi oltre la quale ci si ammala di certo. «Ma in futuro — conferma Perno — dovremo stare attenti ad assembramenti e ambienti chiusi. Non penso ai supermercati, che sono ampi, ma alle stanze piccole con molte persone e poca ventilazione. Qui non basterà rispettare le distanze».