Come il Coronavirus sta cambiando l’economia

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-03-07

Sospensione dei mutui e delle rate, spesa a domicilio, telelavoro: gli effetti del Coronavirus sull’economia saranno imponenti e i governi dovranno farsi trovare preparati. Ma l’emergenza vera, già oggi e domani, per le imprese italiane è la liquidità in cassa, quella che serve a pagare gli stipendi e le spese operative

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C’è un’economia da riscrivere ai tempi del Coronavirus SARS-COV-2 e di COVID-19. Mentre il governo vara i primi provvedimenti economici e punta sulle assunzioni di medici e infermieri e sui bonus baby sitter, gli esperti cominciano a interrogarsi sugli effetti dell’epidemia che si sta trasformando in pandemia nei confronti del tessuto produttivo italiano e sulle misure da prendere per fermare o mitigare la recessione in arrivo.

Come il Coronavirus sta cambiando l’economia

Tito Boeri oggi su Repubblica paragona gli effetti del Coronavirus sull’economia all’impatto del cambiamento di regime dopo il crollo del muro di Berlino, che nei paesi ex sovietici fu devastante: crollo della produzione industriale (in molti Paesi dell’ordine del 30%) e caduta libera del reddito nazionale per i primi due-tre anni.

Cosa era accaduto? Le ex imprese di Stato avevano dovuto rinegoziare coi loro fornitori i contratti per procurarsi i beni intermedi richiesti nelle loro catene di produzione dato che sin lì tutte queste transazioni erano state gestite dallo Stato e ora avvenivano tra imprese private. Questa riorganizzazione e rinegoziazione fu laboriosa: nel frattempo bastava che mancasse un anello della catena, per bloccare completamente la produzione.

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Gli aiuti del governo alle famiglie (La Stampa, 6 marzo 2020)

Oggi rischia di avvenire qualcosa di simile. Due terzi dei rispondenti a un’indagine Manageritalia fra 1320 imprese nei servizi sostengono di avere passato le ultime settimane a cercare di riorganizzare i rapporti con fornitori e clienti. Sta già avvenendo lo stesso per le imprese che importano beni intermedi dall’Italia. La Mta di Codogno, zona rossa, produce componenti per automotive; ha chiesto di poter chiamare al lavoro almeno il 10% dei dipendenti perché altrimenti rischia di bloccare stabilimenti Bmw, Fca, Renault e Peugeot in tutto il mondo.

C’è poi la necessità di ripensare la sanità pubblica: si è puntato per molti anni sulla de-ospedalizzazione riducendo i posti letto per acuti e puntando sul territorio. Ma ora, per gestire l’emergenza avremmo bisogno di moltiplicare i letti nei reparti di rianimazione e, con loro, le macchine di ventilazione, le pompe di infusione, e il resto della strumentazione richiesta per la terapia intensiva e sub-intensiva e ci troviamo di fronte a crescenti strozzature d’offerta.

Le politiche di sostegno alla domanda e il lato dell’offerta

Boeri aggiunge che l’attenzione di tutti in questo momento è sulle politiche a sostegno della domanda. Si chiede più flessibilità all’Europa per sostenere, come giusto, le imprese in difficoltà, i piccoli esercenti, il turismo in ginocchio, per evitare che i lavoratori bloccati a casa dalle loro imprese o dalla chiusura delle scuole rimangano senza stipendio.

Ma questi interventi, pur doverosi, non potranno mai essere sufficienti se non si agisce sul lato dell’offerta, se non si cerca in tutti i modi di continuare a salvaguardare i livelli di produzione. Lo smart working, il lavoro agile, può mantenere attive molte persone costrette a casa dall’emergenza. Non è il telelavoro. Non si è monitorati mentre si svolge il proprio lavoro a distanza. Non ci obbliga a stare sempre nella stessa stanza, nella stessa abitazione. Ma proprio perché non si è monitorati, richiede di assumere obiettivi di produzione individuali e di portarli avanti negli orari che sono per noi più convenienti, ma pur sempre entro tempi prefissati perché dal nostro lavoro dipende anche quello degli altri.

come fare la spesa al tempo del coronavirus

Intanto il boom della GDO dimostra che c’è almeno un settore che vive in positivo l’emergenza (ironia). Ma anche qui c’è necessità di una riorganizzazione, come dimostrano gli aumenti di richieste per la spesa a domicilio. Il Corriere della Sera aggiunge oggi che intanto le aziende — già alle prese con drastici cali di fatturato e un futuro incerto — cercano di attuare una rivoluzione organizzativa. Un esempio per tutti: il quartier generale di San Donato Milanese dell’Eni è deserto. I circa 7.000 dipendenti lavorano tutti da casa dal 26 febbraio. Le grandi imprese che avevano già attivato modalità di lavoro a distanza — da Intesa Sanpaolo a Unicredit, da Siemens a Bayer — sono avvantaggiate: si tratta semplicemente di allargare il circuito dei lavoratori a distanza. Per gli altri è tutto molto più complicato.

Le rate sospese e gli aiuti alle PMI

Il Sole 24 Ore fa il conto degli interventi necessari:  cassa integrazione in deroga, Fondo d’integrazione salariale per i datori di lavoro, anche non organizzati in forma d’impresa, che occupano mediamente più di cinque dipendenti, accesso al credito, sospensione dei mutui sono le prossime necessarie tappe. La Stampa fa sapere che la Commissione Ue ragiona intorno a un allentamento delle regole sugli aiuti di Stato, per favorire la ripresa.

Secondo fonti europee nell’Eurogruppo del 16 marzo i ministri discuteranno una serie di misure anti-crisi. Molte sono le idee sul tavolo: dall’utilizzo della Bei per fornire garanzie alla liquidità per le Pmi, a sostegni alle imprese sotto forma di esenzioni fiscali. Si tratta di misure nazionali, che però l’Eurogruppo vorrebbe fossero attuate in modo coordinato, per questo la riunione sarà quasi del tutto dedicata agli effetti dell’epidemia sull’economia e alle possibili soluzioni anticicliche.

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I provvedimenti allo studio del governo (Il Sole 24 Ore, 7 marzo 2020)

Ma spiega il Messaggero che l’emergenza vera, già oggi e domani, per le imprese italiane è la liquidità in cassa, quella che serve a pagare gli stipendi e le spese operative (oltre che i contributi e le tasse) anche quando la produzione è ferma o il fatturato non corre:

Dunque, lo snodo cruciale è rappresentato oggi ancora una volta dalle banche, le stesse tormentate negli ultimi anni dai paletti Ue sullo smaltimento dei famosi Npl. Perché se il flusso di cassa in entrata è fermo, la liquidità necessaria a stare in piedi, una volta finite le riserve in cassa, non può che arrivare dalle banche. È dunque fondamentale attivare nuove linee di credito per finanziare il capitale circolante, avverte Confcommercio. Un intervento «da attuare tramite il Fondo Centrale di Garanzia e le Agenzie regionali, così da portare al 100% la garanzia sui finanziamenti del sistema bancario».

Ebbene le banche sono pronte, lo hanno già detto. Ma anche loro devono rispettare paletti precisi per stare in piedi. Così l’Abi ha già chiesto al governo misure «urgenti» per «favorire i rapporti con le imprese», oltre alla sospensione dei mutui nei territori in emergenza. È già impegnata ad «ampliare le moratorie possibili con le vigenti norme europee». Ed è in attesa del decreto del governo che dovrebbe includere la moratoria dei crediti alle imprese da parte delle banche. Ma il mondo del credito chiede la sospensione «almeno delle più rigide normative vigenti». A partire dalle regole sui crediti deteriorati.

Ma non basterà.

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