Economia

Perché Boeri ha ragione sull’immigrazione

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-07-05

Il presidente dell’Inps ha detto che per sostenere il sistema pensionistico italiano – soprattutto se si vuole “superare” la Fornero – servono più lavoratori regolari immigrati e che il sistema delle quote del decreto flussi non è sufficiente. Il ministro dell’Interno – che potrebbe cambiare il sistema delle quote – ha dimostrato di non capire qual è il problema

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Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha detto ieri che «avere immigrati regolari ci permette di avere flussi contributivi significativi». Boeri non ha detto nulla di nuovo, lo stesso concetto lo aveva espresso lo scorso anno, sempre in coincidenza della presentazione del Rapporto annuale dell’Istituto di previdenza. Oggi però al potere c’è il governo del cambiamento e Matteo Salvini – forse distratto dalle vicende giudiziarie della Lega – ha risposto a muso duro a quella che è una semplice constatazione dei fatti fondata sui dati elaborati dall’Inps (ma non solo).

Boeri ha parlato di immigrazione regolare e non di clandestini

Boeri ha detto che «abbiamo bisogno di immigrati regolari che fin da subito paghino i contributi». Salvini ha prontamente replicato  dando del “fenomeno” al presidente dell’Inps: «C’è ancora qualche fenomeno, penso anche al presidente dell’Inps, che dice che senza immigrati è un disastro. Ma ci sarà tanto da cambiare anche in questi apparati pubblici». Il ministro dell’Interno ovviamente aveva in mente gli immigrati che delinquono e i clandestini. Il problema è che Boeri non ha mai parlato di clandestini ma di immigrazione regolare. Ovvero di stranieri che vengono nel nostro Paese per lavorare e che hanno un regolare permesso di soggiorno. Tra questi, è bene ricordarlo, non ci sono solo i lavoratori stranieri che provengono dall’Africa ma anche cittadini europei e persone che provengono da altri paesi.

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Quanto pesano gli immigrati sul sistema pensionistico

Una volta dato per assodato che Boeri non ha parlato di clandestini – che al massimo possono lavorare in nero e quindi non versano contributi – cerchiamo di capire perché Boeri ha detto che l’Italia ha bisogno di lavoratori immigrati per sostenere il nostro sistema pensionistico. La questione invece che essere derubricata con insulti e battute (Salvini ha detto «Boeri dove vive, su Marte?») è di primaria importanza soprattutto per chi nell’attuale governo si accinge ad andare a “superare” (o abolire) la legge Fornero di riforma sulle pensioni. Boeri inoltre non ha detto che servono più immigrati da sottopagare per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare perché è evidente che i contributi versati (ammesso e non concesso che a chi viene pagato due euro all’ora vengano anche versati i contributi) non sarebbero in ogni caso sufficienti.

Il costo di “quota 100” è insostenibile senza gli immigrati

Il dati ci dicono che la popolazione residente nel nostro Paese (ma anche gli altri stati della UE non stanno messi meglio) sta inevitabilmente invecchiando. Al tempo stesso il calo demografico mette a serio rischio la possibilità che in futuro i nuovi nati italiani possano sostenere il sistema previdenziale: «Se noi tagliamo il numero di coloro che arrivano nel nostro Paese e cominciano a pagare i contributi e abbiamo il calo delle nascite, noi abbiamo seri problemi nel finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e del nostro sistema pensionistico». Il problema è che per invertire la tendenza negativa delle nascite ci vorranno decenni, e altrettanti ce ne vorranno prima che i nuovi nati (di oggi) possano diventare lavoratori e contribuenti. Nel frattempo il buco dei conti pubblici dell’Inps continuerà ad allargarsi. Boeri ha quindi proposto una soluzione: «Per ridurre l’immigrazione clandestina, serve aumentare quella regolare per quei lavori che gli italiani non vogliono più fare, come colf e badanti: nel lavoro manuale non qualificato oggi è impiegato il 36% di stranieri, solo l’8% italiani».

quota 100 inps

INPS, i calcoli di quota 100

Secondo Boeri «azzerando l’immigrazione perderemmo 700 mila persone con meno di 34 anni nell’arco di una legislatura». È evidente quindi che per Boeri il problema sono le quote stabilite dal “decreto flussi” che per il 2018 ha consentito l’accesso a 30.850 lavoratori non comunitari (di questi  12.850 lavoratori autonomi e subordinati non stagionali e 18.000 lavoratori stagionali) non sono sufficienti. Anche perché «c’è una forte domanda di lavoratori immigrati», domanda non da parte dei buonisti ma da parte dei datori di lavoro. E questo è l’unico modo per entrare regolarmente in Italia e poter lavorare. Si potrebbe pensare ad una regolarizzazione degli immigrati irregolari già presenti in Italia. Ipotesi probabilmente sgradita a Salvini che però dimentica quando, proprio in occasione dell’approvazione della Bossi-Fini il governo di Centrodestra (con dentro la Lega Nord) regolarizzò 200 mila immigrati clandestini.

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Fonte: Corriere della Sera del 05/07/2018

A maggior ragione se si vuole intervenire abbassando la soglia dell’età pensionabile arrivando alla famosa “quota 100” l’apporto dei contributi dei lavoratori immigrati diventa fondamentale. Perché se la misura vuole essere sostenibile senza scaricare il peso unicamente sulle spalle delle future generazioni “italiane” è necessario ampliare la platea dei contribuenti. E non è sufficiente aumentare il livello degli occupati italiani, servono altri lavoratori. A dirlo non è solo Boeri, sono anche le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato, della Commissione europea e del Fondo monetario internazionale. Tutte grossomodo concordano nell’individuare un picco della spesa pensionistica entro il 2040.

Gli effetti positivi dell’immigrazione sui conti pubblici

A fine giugno la rivista Science Advances ha pubblicato uno studio macroeconomico sull’effetto dell’immigrazione e dei flussi migratori, in particolare dei richiedenti asilo. Lo studio, realizzato da un’équipe di ricercatori  francesi della École d’économie di Parigi analizza i dati economici raccolti da Eurostat e dall’OCSE sui flussi di migranti e richiedenti asilo nei paesi dell’Unione Europea (Italia compresa) dal 1985 al 2015. Nell’arco di trent’anni è emerso come l’arrivo dei rifugiati non costituisca un peso per il bilancio degli stati che li accolgono perché la maggiore spesa causata dall’arrivo dei richiedenti asilo è più che compensata dall’aumento degli introiti fiscali.

Non appena i richiedenti asilo ottengono lo status di rifugiati (ma questo vale anche per coloro ai quali vengono riconosciute la protezione umanitaria o sussidiaria) diventano immigrati regolari e quindi oltre ad avere un permesso di soggiorno (permanente, nel caso dei rifugiati) possono anche lavorare. Secondo i ricercatori francesi quando i richiedenti asilo ottengono la concessione del permesso di soggiorno il loro impatto macroeconomico diventa positivo. I risultati dell’analisi secondo i ricercatori mostrano come non è affatto probabile che la cosiddetta crisi migratoria attualmente percepita in Europa sia in grado di provocare una crisi economica. Anzi, secondo lo studio il flusso di migranti e di richiedenti asilo potrebbe tramutarsi in un’opportunità economica e di crescita. Certo, per farlo bisogna iniziare a non parlare degli immigrati come un peso e smettere di associare l’immigrazione alla delinquenza. Difficile che Salvini lo faccia. Soprattutto finché continua a fare di tutta l’erba un fascio confondendo immigrati irregolari con i clandestini e dicendo che questi ultimi sono tutti delinquenti.

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