ATAC, lo spettro del fallimento

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-06-07

Nel nuovo piano i vertici dell’azienda hanno spiegato cosa succederà se la procedura non viene accettata dal tribunale, tratteggiando così un piano B per il fallimento in stile Alitalia

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Un fantasma si aggira per le aule del tribunale fallimentare di Roma: il fantasma del fallimento di ATAC. Dopo la prima bocciatura del piano per il concordato presentato dalla municipalizzata dei trasporti romana e dai suoi consulenti con compensi totali da 12 milioni di euro e il nuovo piano con taglio delle fermate presentato ai giudici arricchito del regalone della Giunta Raggi sui crediti del Comune,  i vertici dell’azienda hanno anche spiegato cosa succederà se la procedura non viene accettata dal tribunale, tratteggiando così un piano B per il fallimento in stile Alitalia. Il Messaggero spiega cosa succederebbe in caso di mancata ammissione al concordato:

Nel proporre al tribunale fallimentare e alla procura di Roma il concordato preventivo come migliore delle soluzioni possibili, Atac ha dovuto spiegare – meglio rispetto al documento presentato a febbraio – perché questa strada è la più solida dal punto di vista dei circa 14mila creditori dell’azienda del trasporto pubblico.

Ed è proprio su questo punto, al di là dei chiarimenti contenuti nel nuovo piano, che ora piazzale Clodio sta soppesando il proprio parere, decisivo per salvare l’azienda dal fallimento.

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Come spiega la nota dell’avvocato Giampaolino, «Atac ha costi mensili complessivi per circa 70 milioni nei periodi non estivi (di cui euro 45 milioni di costi per il personale)». Ha poi un enorme patrimonio, tanto che i singoli beni strumentali, risultano avere un «valore teorico di subentro complessivo» pari a circa 1,5 miliardi.

Visto, però, che il nuovo acquirente post fallimento non potrebbe essere obbligato a comprare tutto e il contratto di servizio non attribuisce al gestore uscente un diritto di opzione a vendere i beni che in parte ha ricevuto in quanto ex ente pubblico, una volta fallita e messa sul mercato l’azienda capitolina avrebbe un valore molto più basso.

Quale? Nel concordato si parla di 206,7 milioni, ovvero la somma del componente di valore della società nel periodo e del Terminal Value nell’ipotesi di rinnovo.  Nessun acquirente, dicono i consulenti sarebbe disposto a versare un prezzo maggiore di questo. Non solo: a questa cifra potrebbero aggiungersi le azioni revocatorie: ad esempio «Euro 55 milioni incassati dal Pool di banche nel periodo maggio-agosto 2017 secondo quanto previsto nel piano di ammortamento del finanziamento».

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