Una via ad Almirante contro l’antifascismo metafisico dei guardiani della memoria

di Francesco Guerra

Pubblicato il 2020-01-27

La recente polemica suscitata dalle dichiarazioni di Liliana Segre a proposito della volontà del comune di Verona di intitolare una via a Giorgio Almirante, mi ha riportato alla mente un brillante e colto articolo di Roberto Pertici, risalente al 2008, ma che appare oggi, forse, ancora più attuale di quando fu pubblicato. Il titolo dell’articolo, …

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La recente polemica suscitata dalle dichiarazioni di Liliana Segre a proposito della volontà del comune di Verona di intitolare una via a Giorgio Almirante, mi ha riportato alla mente un brillante e colto articolo di Roberto Pertici, risalente al 2008, ma che appare oggi, forse, ancora più attuale di quando fu pubblicato. Il titolo dell’articolo, già di per sé assai evocativo, era: Il fascismo è eterno. Facciamocene una ragione e lo si può tuttora leggere sul sito de L’Occidentale. Il punto di partenza dell’analisi di Pertici era la citazione di un pensiero da lui attribuito a Mario Pannunzio e pubblicato sui Taccuini de Il Mondo, il 16 febbraio 1960. Un pensiero, quello di Pannunzio, che inaugurava quella che, con formula icastica, potremmo definire la doppia postura italiana con relazione al fascismo e culminante nella tesi secondo la quale, contrariamente al fascismo storico, definitivamente sepolto nel ’45, il fascismo politico, all’epoca del saggio pannunziano incarnantesi principalmente nell’esperienza del governo Tambroni, sarebbe stato più vivo di prima.

liliana segre matteo salvini

Pertici ricorda come uomini del calibro di Nicola Matteucci e Augusto Del Noce furono tra i pochi a spendersi, affinché il fascismo non fosse assurto a “pericolo eterno della politica italiana”, ossia a dire a categoria metafisica della storia italiana, nonché concetto passe-partout buono, di fatto, per tutte le stagioni. Parimenti, le posizioni illuminate di un Matteucci o di un Del Noce sarebbero state presto travolte dall’antifascismo “ideologico”, “categoriale” e “militante”, che, invero un po’ sorprendentemente, aveva preso forma nelle parole di Mario Pannunzio e che, ancora oggi, come osserva Pertici, “continua a costituire una risorsa ideologica a cui certi ambienti politici e culturali non sanno rinunziare”. Mentre appare facilmente discernibile, nonché storiograficamente accettabile, la categoria di antifascismo storico, più complessa si presenta la questione relativamente alla categoria di antifascismo ideologico. Presente all’interno di varie forze politiche di sinistra (dai comunisti ai socialisti fino ad arrivare ai post-azionisti e ai cattolici dossettiani) tale declinazione ideologica dell’antifascismo comincia a diventare egemone a partire dagli anni Sessanta “con l’avvio dell’esperienza di centro-sinistra, di cui ha costituito in qualche modo la base ideologica”. Un’opzione politica assai malleabile per il fatto di poter risultare funzionale a determinati disegni politici, non necessariamente convergenti, quali “l’apertura a sinistra, la legittimazione del partito comunista come cardine della democrazia italiana, la condanna di ogni anticomunismo, l’illegittimità politico-culturale di una qualsiasi formazione alla destra della DC e delle correnti anticomuniste all’interno dello stesso partito di maggioranza relativa, ma anche – nelle frange della “nuova sinistra” – la critica radicale della repubblica nata da una Resistenza abortita e tradita”. Si trattava, da ultimo, di un progetto, che, seppur eterogeneo, elevava una parte politica specifica del Paese a guardiani della memoria, i quali, preservando intatto il Verbo dell’antifascismo, si facevano, al tempo stesso, guardiani della politica all’insegna di una inesistente connessione creata tra legittima rivendicazione di anticomunismo e di altrettanto legittime posizioni politiche alla destra della DC e il riaffiorare dello spettro del fascismo. Un fascismo non più temporalizzato (e con ciò storicizzato), ma eretto a vera e propria categoria metafisica, a male supremo della Storia, che, in quanto tale, va sempre combattuto con ogni mezzo.

La posta che è qui in gioco, dunque, non riguarda tanto e solo le parole di Liliana Segre, ovviamente del tutto legittime e anche comprensibili, quanto ciò che anche le parole della Segre veicolano, ossia a dire una sostanziale rivendicazione di un antifascismo ideologico e metafisico, che, polarizzando, non rende ragione dei piani complessi sottesi ogni volta all’incedere della comprensione storiografica. Intitolare una via a Giorgio Almirante non significa soltanto intitolare una via ad una persona che in gioventù appartenne alla Repubblica Sociale Italiana – ciò che in sé non dovrebbe costituire motivo di censura così come non dovrebbe esserlo, in Germania, dedicare una via a Carl Schmitt – bensì questo progetto, fermo restando il carattere strumentale della proposta avanzata dal comune di Verona, avrebbe parimenti il significato di riconoscere, per via toponomastica, l’azione politica di una delle figure centrali della Repubblica italiana del dopoguerra. Dopotutto, come mette in luce Scipione Rossi nel suo La destra e gli ebrei. Una storia italiana, all’interno del Movimento Sociale Italiano tanto Almirante quanto Michelini, già dalla fine del 1946, furono apertamente filo-americani e in seguito alla fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, filo-israeliani. Sempre Almirante, stando alle parole di D’Asaro, già direttore del Secolo d’Italia, sin dai primi anni Cinquanta “sensibilizzava il nostro interesse nei confronti dello spirito pionieristico e patriottico con il quale i fondatori dello Stato d’Israele avevano fondato la nuova nazione”. Come pure giova ricordare – ciò che opportunamente fanno De Grazia e Luzzatto nel primo volume del loro Dizionario del fascismo alla voce Giorgio Almirante – che nell’aprile del 1972, colui che un tempo si era speso per la causa repubblichina non ci pensò due volte “ad esaltare i valori della Resistenza in quanto valori di libertà”. I succitati “lampi di memoria” hanno il precipuo scopo di evidenziare come Giorgio Almirante considerasse l’esperienza del fascismo un qualcosa di definitivamente tramontato nella storia e che, tutto al contrario, da segretario del MSI si distinse per il suo rispetto delle istituzioni repubblicane, favorendo in maniera cospicua l’apertura di quel sentiero politico, che, dalla scelta di Gianfranco Fini come suo successore alla guida del partito, avrebbe portato il Movimento Sociale Italiano fino alla liberale svolta di Fiuggi, in ciò favorito, va detto, dal nuovo corso, liberale appunto, impresso alla destra italiana dalla nascita e affermazione di Forza Italia nel 1994. Pertanto, dedicare una via a Giorgio Almirante – in misura cospicua a questo secondo Almirante – potrebbe rappresentare un buon punto di partenza al fine di liberarci e liberare la politica e la storiografia italiane dalle sabbie mobili dell’antifascismo ideologico e metafisico, autentico vessillo di quei guardiani della memoria, che, monumentalizzando il passato – per usare un’immagine cara al Pirandello de I vecchi e i giovani – finiscono ogni volta per sottrarlo al libero gioco della comprensione e alle inesauribili risignificazioni, che, nietzscheanamente, la vita – forza non storica al cui servizio sta la storia – sarà ogni volta capace di fornire.

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