Giovanni Tria: il ministro dell’Economia già a rischio dimissioni

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-07-20

«Collabori o se ne vada»: Di Maio e Salvini mettono il ministro dell’Economia all’angolo. Il problema dei nomi per Cassa Depositi e Prestiti e le deleghe non date al M5S i punti di rottura

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Il posto di Giovanni Tria al ministero dell’Economia è già a rischio. Un paio di mesi scarsi e il governo Lega-M5S è già ai ferri corti con il titolare di via XX Settembre che è stato scelto e nominato su proposta di Salvini e Di Maio in quella che potrebbe essere un’avvisaglia di quello che succederà quando ci sarà da discutere la Legge di Bilancio.

Giovanni Tria: il ministro dell’Economia è già a rischio

Stavolta la pietra dello scandalo sono le nomine pubbliche. Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha infatti prima convocato e poi sconvocato un vertice con Tria, Di Maio e Salvini per parlare dei nomi per il consiglio di amministrazione e per la direzione di Cassa Depositi e Prestiti, che il ministro Toninelli vorrebbe utilizzare per ri-salvare Alitalia. La Lega infatti ha fatto notare che il vertice convocato costituiva l’esatto contrario della procedura descritta dallo stesso Conte nell’intervista rilasciata a Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, che prevedeva prima la proposta di Tria e poi la mediazione di Conte con Di Maio e Salvini.

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Qui si è compreso che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Le tensioni sono state negate da Salvini, che ha detto che per la Cassa i nomi dei vertici arriveranno il 24 luglio, ovvero il giorno in cui è stata rinviata per la terza volta la convocazione dell’assemblea degli azionisti. Tommaso Ciriaco su Repubblica spiega che i veti chiarissimi: Dario Scannapieco, gradito a Tria, stimato dal Quirinale e Mario Draghi – così giurano dal Movimento e dalla Lega – non passa il vaglio di Salvini. Lo stop alla “soluzione Palermo” (Fabrizio, che i gialloverdi vorrebbero al vertice), invece, diventa la ritorsione del Tesoro contro la guerriglia grillo-leghista. «Tria sostiene sempre il contrario di quello che diciamo noi – si sfoga in Aula alla Camera Di Maio con i lombardi del Movimento, sostenendo quello che pubblicamente non può dire – O si allinea, o finiremo per dover chiedere un suo passo indietro».

«Giovanni Tria? Può anche andar via»

Nei fatti il passo indietro viene già chiesto in forma anonima: il tg di La7 riporta le parole di un sottosegretario M5S che preferisce rimanere anonimo, il quale fa sapere che o Tria si adegua o quella è la porta. Per la CdP Salvini e Di Maio fanno sapere a Conte che se entro martedì il responsabile di via XX Settembre non accetta di trattare su un nome condiviso dalle due forze politiche oppure toccherà al premier scegliere. Poi c’è il problema delle deleghe, che Tria non ha ancora assegnato a Laura Castelli la quale sarebbe furiosa, ma lei intanto ha già deciso di farsi riconoscere alla Camera.

giovanni tria dimissioni

Tutti sono coscienti del fatto che CDP è solo l’ultimo episodio di un lungo e neanche tanto sotterraneo scontro tra il ministro del Lavoro, leader del primo partito della maggioranza, e l’economista, un tecnico scelto come ripiego dalla Lega dopo la bocciatura di Paolo Savona da parte del Colle. Spiega La Stampa:

«O capisce che fa parte del governo del cambiamento oppure è meglio che si dimetta» si sfoga Di Maio con alcuni parlamentari tra il corridoio della Camera riservato al governo e l’aula. «Se pensa di terrorizzarci con lo spread non ha capito con chi ha a che fare. Non abbiamo paura di tornare al voto» spiega un deputato altrettanto spazientito: «Il problema con lui ormai è politico». Il leader grillino dice di essere «stufo»: prima le dichiarazioni troppo prudenti sulle coperture del reddito di cittadinanza, poi i continui riferimenti al debito, le rassicurazioni all’Europa.

giovanni tria cassa depositi e prestiti
In corsa per Cassa Depositi e Prestiti (La Stampa, 20 luglio 2018)

«Parla il linguaggio del passato, del sistema contro cui noi abbiamo vinto»: Di Maio sa poi che Tria non era tanto d’accordo ad approvare così rapidamente il decreto Dignità, avrebbe voluto aspettare, calcolare meglio gli effetti sull’occupazione. Il caso della «manina» sulla relazione tecnica, le accuse lanciate alla Ragioneria prima dello scontro con il presidente dell’Inps , è stato l’ultimo round, prima di Cdp: i sospetti di Di Maio si sono concentrati subito su Tria, visto come troppo accomodante con i funzionari considerati vicini al suo predecessore Pier Carlo Padoan.

Leggi sull’argomento: Così Boeri fa a pezzi le frescacce di Di Maio

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