Liquidazione TFS: come cambia e cosa c’entra con Quota 100 e la banca

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-01-18

Il Trattamento di Fine Servizio rimane in tasca allo Stato, ma chi va in pensione potrà prendere al massimo 30mila euro rispetto a ciò che gli spetta interamente. E gli interessi? Li paghiamo noi tutti. Equo, no?

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Il Trattamento di Fine Servizio (TFS) è la liquidazione dei lavoratori statali e la sua caratteristica precipua è che viene attualmente riscossa “con calma” dal travet che va in pensione, il quale di norma deve attendere anche due anni. Con l’avvento di Quota 100 il problema della liquidazione dei lavoratori statali si è riproposto in forma maggiore perché della riforma di Salvini beneficerà soprattutto chi lavora nel pubblico impiego. La prima proposta di Lega e M5S prevedeva che i lavoratori statali con quota 100 dovessero attendere fino a otto anni per ricevere la liquidazione; successivamente il sottosegretario leghista Durigon ha annunciato che il Trattamento di Fine Servizio sarebbe arrivato prima in tasca ai pensionandi, ma con un meccanismo che prevedeva un prestito da parte delle banche e il pagamento degli interessi da parte del lavoratore. Un meccanismo quantomeno iniquo che poi il ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno ha ritenuto di dover applicare non solo ai pensionandi con Quota 100 ma a tutti i lavoratori statali che avrebbero dovuto percepire il TFS. Con una differenza significativa, però.

tfr statali liquidazione

Ovvero che gli interessi, secondo le promesse della ministra, sarebbero stati pagati dallo Stato e non dal lavoratore. Una soluzione che mette in carico alla collettività (cioè a tutti noi) il prezzo di una norma di cui beneficiano soltanto i lavoratori statali che vanno in pensione, e che aveva anche il problema intrinseco di aumentare l’indebitamento dello Stato. Per questo il meccanismo è ulteriormente cambiato in extremis prima dell’approvazione definitiva del decreto legge su reddito di cittadinanza e quota 100.  La soluzione approvata dal Consiglio dei ministri prevede la possibilità di un anticipo parziale attraverso il meccanismo del prestito bancario (facendo leva su convenzioni tra la Pubblica Amministrazione e l’Abi) fino a una massimo di 30mila euro di Tfs. Ovvero molto meno rispetto a quanto spetta di diritto ai lavoratori statali. Ma le sorprese non finiscono qui: gli interessi da versare agli istituti di credito sono per il 95% a carico dello Stato ma per il 5% a carico del lavoratore. Sempre lo Stato sarebbe anche garante dell’intera operazione. Il vicepremier Matteo Salvini e la ministra Giulia Bongiorno puntano, dicono, a far salire a 40-45mila il “tetto” con i correttivi parlamentari al decreto. Ma appare difficile che si trovino ulteriori coperture in Parlamento dopo che i ministeri non ne hanno trovate. E quindi la situazione attuale è questa: il lavoratore statale può ricevere al massimo 30mila euro  della liquidazione che gli spetta e non tutta in caso vada in pensione con Quota 100 o con i meccanismi già in essere. Dovrà comunque pagare una parte degli interessi. L’altra è in carico alla collettività che non va in pensione ma continua a lavorare e intanto paga il conto del mezzo regalo  che gli assicura la Lega. Alla faccia dell’equità. Nel senso del cavallo, ovviamente.

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