Fact checking
Spread a 400: l’Ultima Thule del governo Lega-M5S
Alessandro D'Amato 04/10/2018
Se il differenziale dovesse ancora crescere il governo Conte rischia di non reggere. E allora ecco l’exit strategy. Che prevede la caduta, le elezioni e…
«Vogliamo costringere l’Ue a dirci no alla manovra»: il lapsus di Luigi Di Maio a Quarta Repubblica è la spia della situazione che il governo Lega-M5S si trova ad affrontare e anche un’anticipazione della strategia del leader grillino e di Matteo Salvini nei confronti dell’Europa. La presentazione, con tratti di vera comicità, della manovra è stata la prima Retromarcia del Popolo innestata dalla crescita dello spread di questi giorni. E non è escluso che ce ne siano altre.
Lo spread a 400: l’Ultima Thule del governo Lega-M5S
Ma c’è un punto di non ritorno dietro questa tattica ed è lo spread a 400. Se il differenziale tra BtP e Bund dovesse ancora crescere, a dispetto delle dichiarazioni bellicose della maggioranza, sarebbero disposti a firmare un armistizio con l’Unione Europea. Altrimenti, finché la crescita sarà intorno ai 300 punti e anche oltre, l’intenzione del governo è di resistere, resistere, resistere anche in caso di scontri e sanzioni dalla UE: «Se non tocchiamo quella quota, non faremo altre concessioni». Altrimenti sarà guerra. E non si faranno prigionieri.
D’altro canto, e ne è convinto più di tutti il ministro degli Affari Europei Paolo Savona, l’Europa avrebbe tutto l’interesse del mondo a mantenere i rapporti con l’Italia perché è un’architrave dell’Unione e senza Roma – o con la sua ostilità a Bruxelles – sarebbe difficile tenere in piedi le istituzioni europee e l’euro. Un ragionamento che non sembra tenere conto affatto del clima che si respira in Germania e in Francia, dove ci sono estremisti esattamente come qui ma stanno dall’altra parte della barricata. E non vedono l’ora di controfirmare dichiarazioni di guerra portate da altri.
E se invece lo spread arriva a 400?
E cosa succede se invece lo spread arriva a 400? In questo caso l’intero sistema rischierebbe di cedere rapidamente, ragionano grillini e leghisti che evidentemente sottovalutano la possibilità che una lenta agonia possa fare gli stessi danni in un orizzonte temporale più lungo (oppure ritengono questa ipotesi più sostenibile delle altre). A quel punto si aprirebbero due possibilità: la prima è di rimangiarsi il deficit/PIL al 2,4% rinunciando di fatto a fare politica economica per gli anni a venire, visto che non ci sarebbe spazio per le costosissime riforme della Fornero e del reddito di cittadinanza. O meglio, ci sarebbe a patto di mettere le mani sulle forbici e tagliare, tagliare, tagliare come del resto i 5 Stelle avevano promesso avventatamente durante la campagna elettorale. Questa ipotesi però è irrealistica perché significherebbe scontentare ampi strati della popolazione che oggi hanno accordato la loro preferenza ai gialloverdi.
E allora l’altra ipotesi sarebbe quella di lasciar cadere il Governo del Cambiamento, fare spazio a un esecutivo tecnico e correre il più velocemente possibile verso nuove elezioni politiche e una nuova legittimazione. Una specie di Ultima Thule, dove però tutto rimarrebbe incognito, anche i risultati elettorali e la possibilità che non tutto vada come previsto. La bocciatura della legge di bilancio del Popolo potrebbe essere un ottimo argomento per fare il pieno alle urne. Il problema è che dopo si tornerebbe sempre alla calcolatrice. E quella non si lascia influenzare dai sondaggi, figuriamoci dai risultati.
In copertina: vignetta di El Giva per neXt