Se il PD cambia il nome ma non il decreto sicurezza Salvini vincerà sempre

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-01-13

Quello che Zingaretti non sembra ancora aver capito è che non otterrà nulla continuando a piegare la testa con l’alleato di governo. E che ci si aspetta da lui e dal suo partito quella discontinuità che lui a parole voleva. Adesso è il momento di muoversi. Le rivoluzioni nel partito potranno solo seguire

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Nicola Zingaretti ha annunciato in un tripudio di dejà-vù lo scioglimento del Partito Democratico:  intende fondare un nuovo partito, o un soggetto politico “vasto e plurale”, come abbiamo sentito in tante occasioni, che “accolga le istanze della società civile”, come abbiamo sentito in tante occasioni, ma “non un nuovo partito ma un partito nuovo”, come abbiamo sentito in tante occasioni. Ma quello che al PD sembra sfuggire (da anni…) è che cambiare il nome senza cambiare politica non serve a niente.

Se il PD cambia il nome ma non il decreto sicurezza Salvini vincerà sempre

Il segretario si era buttato nell’alleanza con il MoVimento 5 Stelle chiedendo discontinuità sul nome di Conte: non solo non è stato accontentato, ma poi ha cambiato idea e l’ha incoronato punto di riferimento del centrosinistra. Ha chiesto poi discontinuità su reddito di cittadinanza e quota 100 ed è andata come è andata. Ora che del governo Conte Bis sono rimasti solo i decreti sicurezza il governo cincischia e cazzeggia anche su quelli. E allora a cosa serve stare nell’esecutivo? Spiega oggi Alessandra Ziniti su Repubblica che l’ambizione della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese è quella di arrivare a un intervento legislativo che ripensi profondamente anche i tagli all’accoglienza voluti da Salvini pur senza arrivare ad un ripristino totale della protezione umanitaria abolita dal primo decreto sicurezza.

Ma per il momento l’impasse politica della maggioranza sulla questione immigrazione obbliga il Viminale a limitarsi a mettere pezze solo quando e dove si può. Non firmare più i divieti di ingresso in acque territoriali per le navi umanitarie si può, impedire a un prefetto di applicare una legge dello Stato che si dice di voler cambiare ma che e però pienamente in vigore non si può. E così, al Viminale, la Lamorgese è alle prese con gli effetti indesiderati di quei decreti sicurezza, ultimo la maximulta da 300 mila euro al comandante Claus Peter Reisch che, con la sua Marie Eleonor, il primo settembre scorso è stato l’ultimo capitano di Ong che si è visto sequestrare la nave in un porto italiano.

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I decreti sicurezza (La Repubblica, 13 gennaio 2020)

Il testo delle modifiche ai decreti sicurezza è pronto ormai da due mesi dicono fonti del Viminale ma il necessario incontro politico tra i capi delle delegazioni di governo che dovrà portare ad un accordo e decidere il punto di caduta delle modifiche annunciate non si è mai svolto:

A dicembre la finanziaria, a gennaio le regionali in Emilia Romagna e in Calabria e il caso Cregoretti di mezzo. Troppo scivoloso il tema delle modifiche al decreto sicurezza per affrontarlo in momenti in cui la tenuta della maggioranza giallo-rossa è considerata prioritaria. Anche se, almeno a parole, sul procedere secondo la strada indicata dal presidente della Repubblica Mattarella, e dunque innanzitutto riportando le multe per le Ong disobbedienti alle cifre originarie (da 1.000 a 10.000 euro), inserendo una chiara indicazione sulle tipologie delle navi e ripristinando il requisito della recidiva per la confisca, si dicono tutti d’accordo. Così come sulla reintroduzione della particolare tenuità del fatto e della distinzione delle categorie nelle norme che puniscono l’oltraggio e la resistenza al pubblico ufficiale.

Perché il PD ancora dorme sul decreto sicurezza?

Abrogare le norme sarebbe il segno della vera discontinuità con il precedente governo giallo-verde. E anche un messaggio verso quegli interlocutori esterni che cerca Nicola Zingaretti. Le piazze delle Sardine hanno pochi punti programmatici ma uno di questi è certamente una diversa politica dell’accoglienza. Eppure il governo è ancora fermo. Ed è fermo perché al suo interno c’è il MoVimento 5 Stelle che non vuole dare un alibi a Salvini per attaccarlo. E l’ala cosiddetta “di sinistra” del M5S, spiega oggi Goffredo De Marchis su Repubblica, è silente:

Non si è alzata una voce né da Roberto Fico, né da chi ha espresso dubbi e mal di pancia a suo tempo come i deputati Sarli e Sportiello. «Non c’è una sensibilità simile alla nostra», ammette Delrio. Luigi Di Maio è per il «minimo sindacale», cioè si accolgono le osservazioni del Quirinale e stop. Ma questa posizione, se accettata dal Pd, può spegnere all’origine l’allargamento immaginato dal suo segretario. Mattia Santoni, leader delle Sardine, ieri ha criticato l’immobilismo: «Manca discontinuità, è come quando la sinistra ai tempi di Berlusconi non faceva la legge sul conflitto di interessi».

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Come cambia il decreto sicurezza (La Repubblica, 21 novembre 2019)

L’equilibrio del governo, già molto fragile, rischia di spezzarsi su questo terreno incandescente. Lo ha capita bene Matteo Renzi che infatti rinuncia ad aprire un altro fronte dopo la prescrizione. «Bisogna avere almeno la decenza di ascoltare il capo dello Stato. Poi aspettiamo le valutazioni del governo». La partita, prima ancora che in Parlamento, si gioca in Consiglio dei ministri dove il titolare dell’Interno Luciana Lamorgese deve portare la sua proposta di revisione. E dove i 5 stelle sarebbero chiamati a cambiare la loro posizione sui migranti in maniera radicale.

Quello che Zingaretti non sembra ancora aver capito è che non otterrà nulla continuando a piegare la testa con l’alleato di governo. E che ci si aspetta da lui e dal suo partito quella discontinuità che lui a parole voleva. Adesso è il momento di muoversi. Le rivoluzioni nel partito potranno solo seguire. O essere inutili senza i fatti.

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