Di chi è colpa la recessione?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-02-01

Recessione tecnica, Di Maio e Castelli sono sicuri: la responsabilità è dei governi precedenti. I numeri invece sono sicurissimi: non è vero niente, ecco la verità

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Luigi Di Maio è sicuro: la recessione è colpa del Partito Democratico. Quando sono usciti i dati che hanno certificato la recessione tecnica per l’Italia il vicepremier e bisministro aveva già organizzato e convocato una conferenza stampa per sostenere che “chi stava al governo prima ci ha mentito, non ci ha portato mai fuori dalla crisi”.

Di chi è colpa la recessione?

Insomma, sarebbe il Partito Democratico il responsabile della recessione. Ma è davvero così? Dopo 14 trimestri di crescita congiunturale negli scorsi anni che sono coincisi con la precedente legislatura, anche la viceministra (senza deleghe) all’Economia Laura Castelli ha ribadito oggi il concetto in un’intervista rilasciata a Monica Guerzoni del Corriere della Sera: «È l’effetto di alcune scelte che riteniamo sbagliate,tanto da avere invertito la rotta. Mentre qualcuno si sofferma sui dati del PIL, bisognerebbe raccontare anche che l’Istat ha stimato per dicembre una crescita dell’occupazione di 23 mila unità,pari allo 0,1%». E, giusto per essere più chiari: «Gli effetti della nostra manovra si vedranno nei prossimi mesi, non si può pensare che si producano un secondo dopo l’approvazione di una norma. Il decreto dignità è stato varato a luglio e sta avendo degli effetti. Ma pensare che il Pil sia dovuto alla nostra manovra, varata l’altroieri, è assurdo».

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Recessione e colpa: l’andamento del PIL (Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2019)

Ora, Laura Castelli si vanta dei 23mila posti di lavoro in più senza dire – forse perché non lo sa… – che il risultato è frutto dell’incremento dei posti precari e delle Partite IVA e della diminuzione di quelli fissi, ovvero del contrario dell’obiettivo che il Decreto Dignità si era prefissato.

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Foto da: Francesco Seghezzi su Twitter

Ma queste sono sottigliezze, direbbe Castelli. Andiamo a vedere cosa dice Il Fatto, giornale che è sempre molto attento alle ragioni del governo Lega-M5S, nell’articolo di Stefano Feltri dedicato alla recessione e all’analisi dei dati:

I dati disponibili indicano che c’è una componente esterna nella frenata, tra guerra commerciale Usa-Cina, rallentamento generale dell’economia mondiale e dell’euro zona. Ma c’è anche una componente domestica: “Come già nei tre mesi precedenti, la caduta del Pil è riconducibile principalmente all’industria e alla domanda interna (pensiamo più per investimenti che per consumi)”, riassume Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo, banca non certo ostile al governo.

Ouch!

La recessione tecnica e il calo di consumi e investimenti

Nei dati di congiuntura economica si ha recessione tecnica quando, pur in presenza di un dato tendenziale annuale positivo di crescita del Pil, si registrino almeno due trimestri consecutivi di segno negativo o piatto. La definizione di recessione tecnica è di Julius Shiskin. In effetti anche Il Sole 24 Ore oggi segnala che il -0,2% degli ultimi tre mesi 2018 riflette un netto peggioramento della congiuntura dell’industria a cui si aggiunge un contributo pure negativo del settore agricolo. Stagnante l’andamento delle attività del settore dei servizi. Dal lato della domanda, invece, c’è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e uno positivo della componente estera netta.

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Ma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affermato, per una volta non in un fuorionda con Angela Merkel, di recessione «transitoria» dovuta soprattutto a fattori esogeni come la guerra di dazi tra Usa e Cina. Bisogna avere fiducia: «a noi interessa – ha detto – concentrarci sul rilancio della nostra economia che avverrà sicuramente nel 2019, perché inizieranno a svilupparsi tutte le nostre misure». Insomma, sono Trump e Xi il problema? L’economista Francesco Daveri su Lavoce.info ha chiarito ieri proprio questo aspetto:

Sulla base dei dati disponibili si può certamente individuare una parte delle difficoltà dell’economia italiana con una più deludente dinamica dell’export. Dati alla mano, la crescita dell’export nei primi tre trimestri del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017 (il dato ufficiale del quarto trimestre arriverà solo ai primi di marzo) è stata di poco superiore all’1 per cento, con un picco negativo nel primo – non nel terzo – trimestre 2018. Il dato 2018 sfigura rispetto al +4,2 medio realizzato nel triennio 2015-17. Insomma, è vero: nel 2018 l’export ha smesso di trainare la ripresa.

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Ma è lo stesso Daveri a far notare che sul fronte della spesa delle famiglie (il 60 per cento del Pil italiano) «i dati indicano un calo del consumo di beni, durevoli e non durevoli. Il calo dei beni non durevoli – pari a meno 0,5 per cento su base annua nei primi nove mesi del 2018 – è la prosecuzione di una tendenza strutturale in atto da tempo: durante la ripresa 2015-17 si è registrato un modesto +0,7 per cento annuo. Invece la recente brusca frenata del consumo di beni durevoli (+1,6 per cento su base annua, -0,1 per cento sul trimestre precedente) contrasta nettamente con la loro eccellente performance dei tre anni precedenti (+6,4 per cento annuo nel 2015-17). Lo stesso vale per gli acquisti di mezzi di trasporto aziendali – in crescita a doppia cifra nel 2015-17 – i cui acquisti si sono fermati nel terzo trimestre 2018, facendo scendere il dato annuo a un +18 per cento». Infine, Carlo Di Foggia sempre sul Fatto emette la sentenza definitiva: nel terzo trimestre 2018 il rallentamento è coinciso con lo scontro tra il governo e la Commissione europea sulla manovra. Nell’incertezza è probabile che aziende e famiglie abbiano frenato investimenti e acquisti in attesa di conoscerne l’esito. L’immondo e ridicolo balletto sulla Manovra del Popolo messo in atto dal balcone di Palazzo Chigi da Di Maio e da Salvini in altre occasioni ha quindi provocato gran parte dell’effetto che oggi chiamiamo recessione tecnica. Con buona pace di chi vuole dare colpa alle amministrazioni precedenti o ai governi precedenti: la Raggi ogni giorno a Roma, Di Maio ogni giorno al governo. Chi si somiglia, si piglia.

Leggi sull’argomento: Il rischio incostituzionalità per il reddito di cittadinanza

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