Ma davvero ora la Polizia si occupa dei messaggi scritti sulle borsette di tela?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-05

Una ragazza ha raccontato su Facebook che ieri a Forlì la Polizia le ha impedito di entrare nella piazza dove Salvini stava tenendo un comizio perché aveva una borsa con una scritta che poteva essere male interpretata e quindi in quel momento pericolosa. Ma a lasciare sgomenta la protagonista dell’episodio è stato quel “ti veniamo a prendere” dettole da un agente mentre cercava di convincerlo ad entrare lo stesso con la borsetta girata al contrario

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Ieri Matteo Salvini era a Forlì per un comizio a sostegno del candidato sindaco. L’ultima volta, esattamente un mese prima, Salvini si era affacciato su Piazza Saffi dal balcone dal quale prima di lui si era affacciato Mussolini. Questa volta – complice anche il bel tempo – il ministro dell’Interno ha potuto rimanere con i piedi per terra. La serata si è svolta come da programma: discorsetto di Salvini, cori e fischi dei contestatori, applausi dei leghisti (e a quanto pare qualche saluto romano).

Le borse di tela che non piacciono alla Polizia

Tutto nella norma, o quasi. Una ragazza che – per curiosità – voleva assistere al comizio ha raccontato su Facebook che l’accesso alla piazza le è stato impedito dalla Polizia. Motivo? Aveva con sé mazze e pietre? Sventolava un’enorme bandiera dell’Unione Sovietica o uno striscione sui 49 milioni della Lega? No. Era uscita di casa con una borsina di tela che porta sempre dove su un lato è stampata la scritta TE NE DEVI ANDARE e dall’altra la scritta FASTIDIO. Si tratta di una borsa che è liberamente acquistabile online e che non ha alcuna connotazione politica (semmai è del genere postironico).

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Al di là del messaggio stampato, che non è rivolto a nessuno in particolare, la borsina di tela non sembra essere il prototipo di oggetto contundente atto ad offendere. Certo, qualcuno potrebbe interpretarlo male. Ma non è detto che tra i fan del Capitano quel messaggio non possa essere letto come un “te ne devi andare” rivolto a stranieri, clandestini, immigrati, radical-chic o buonisti. Insomma l’interpretazione è aperta. 

La Polizia e il difficile lavoro di garantire la sicurezza di Salvini

Un agente di Polizia però ritiene che la ragazza con la borsa di tela non possa entrare. Perché? L’autrice del post spiega che è proprio la borsa (e non il suo contenuto) il problema: «p​otrebbe essere interpretata male». La ragazza non vuole certo creare problemi, e prova a proporre delle soluzioni alternative: girare la borsa al contrario, in modo da non far leggere le scritte oppure infilare la borsetta in quella dell’amica, in modo da farla sparire completamente dalla vista. Non è la prima volta che la Polizia si occupa di censurare messaggi tutto sommato innocui. Il caso più eclatante era stato quello raccontato da Diego Bianchi a Propaganda Live quando la Digos placcò due ragazzi che si aggiravano per Piazza del Popolo durante un comizio di Salvini con un cartello con scritto “Ama il prossimo tuo”. Evidentemente anche un messaggio evangelico (citato dallo stesso Salvini al Senato) rappresenta un problema. Questo nonostante Salvini sia un gran baciatore di rosari, immagini votive e vangeli. Sarà perché forse Fontana ha un’idea tutta sua sul concetto di “prossimo”?

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Non vanno bene. Spiega un agente in borghese che così non ci sono lo stesso le premesse per garantire l’accesso: «beh certo, così entri dentro e la rigiri con le scritte ben in vista». E per bene in vista immaginiamo che si intenda alla vista delle due o tre persone che si trovassero a fianco della ragazza in mezzo alla folla. Ma niente non funziona. La ragazza prova a spiegare che non è sua intenzione causare alcun genere di problema: «guardi, mi faccio fare cento foto, video, instastories, tutto ma le giuro che questa borsa non la girerò e nasconderò le scritte». Non basta. Il poliziotto replica a muso duro: «f​a​cciamo allora che lei mi da il documento, se poi io la vedo o vedo dei filmati con la sua borsa girata la vengo a prendere». ​Ed è stata quest’ultima affermazione (o minaccia) a far scattare qualcosa. Perché il problema per la ragazza della borsetta di tela non era quello di non poter entrare con la sua borsa. Non era nemmeno quello che la borsa (al pari di certi striscioni) venisse considerata pericolosa. Anzi è lei stessa ammette di aver commesso una leggerezza (dettata in fondo dall’abitudine di usare quella che descrive come la sua borsa preferita). Il problema è stato quello di sentirsi rispondere che qualora avesse “girato” la borsa qualcuno sarebbe andato a prenderla. Letto così, dalla distanza, questo botta e risposta non è altro che quello tra un funzionario di pubblica sicurezza e un cittadino. Ma in quel momento preciso invece quella stessa frase sul “ti vengo a prendere” assumeva connotazioni (e sfumature) ben diverse e inquietanti. Magari è stato tutto un malinteso, certo questa criminalizzazione a priori dei cittadini italiani non è un bel segnale. Chissà, forse qualcuno temeva che la pericolosa ragazza con la borsetta volesse farsi un selfie sfottò assieme al ministro.

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