La Fondazione EYU e Parnasi: piccola storia di una querela esagerata

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-06-21

Il tesoriere del PD e presidente della Fondazione EYU Bonifazi annuncia una querela per il Corriere della Sera a causa di un articolo su uno studio pagato da Parnasi. Cosa è successo davvero

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Tutto comincia la sera del 19 giugno con un comunicato della Fondazione EYU passato alle agenzie di stampa: “Eyu ha sporto querela nei confronti di Giuseppe Falci, giornalista del Corriere della Sera, attivando nei suoi confronti anche un’azione disciplinare presso l’ordine professionale di appartenenza, per l’infamante articolo “Il mistero dello studio commissionato a Eyu (PD) che non si trova più”.

La Fondazione EYU e Parnasi: piccola storia di una querela

Come mai? Sostiene la stessa Fondazione EYU che “In esso il giornalista ha affermato che il valore della ricerca fosse di 7.000 euro, confondendo il concetto di “costo” con quello di valore, quest’ultimo (come risulta dagli atti), al contrario di quanto affermato dal giornalista, ammonta a 39.000 euro, mentre 7.000 sono una parte dei costi relativi ad alcuni aspetti della realizzazione. Una svista imperdonabile, poiché la falsa notizia pare volta ad insinuare condotte discutibili da parte della fondazione. Da ultimo: lo studio è stato fatto ed i risultati della ricerca esistono”.

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Un passo indietro: in mattinata un articolo del Corriere della Sera firmato da Falci racconta di uno studio sul rapporto tra italiani e unità immobiliari dal titolo “Casa, ma solo di proprietà?” commissionato da Luca Parnasi per la ragguardevole cifra di 123mila euro, stanziati durante la campagna elettorale per le elezioni del 4 marzo.

Lo studio esiste, almeno secondo la versione che è stata fornita al Corriere della Sera dal segretario generale Mattia Peradotti, ed è stato redatto da ricercatori di livello di alcune prestigiose università. C’è anche un titolo: «Il rapporto degli italiani con il progetto di casa». Oltre però non si può andare. Non è dato sapere chi saranno mai stati gli autorevoli ricercatori. Né tantomeno è possibile visionare il paper perché, spiegano dalla fondazione Eyu, «in questo caso la proprietà intellettuale appartiene a Parnasi e noi». […]

Eppure c’è un giallo nel giallo. Digitando su Google «casa proprietà italiani fondazione Eyu»,il motore di ricerca rimanda a un link di Eyu del tipo: «Casa, ma solo di proprietà?». Cliccando però non si legge nulla, lo studio non sarebbe più presente all’interno del sito della fondazione. Il motivo? Peradotti la mette così: «In questi giorni il sito è in revisione, quindi abbiamo alcuni problemi».

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Il Corriere spiega che il progetto di ricerca «si pone l’obiettivo di studiare il rapporto degli italiani con il concetto di proprietà di casa». Ed ecco anche i nomi dei due ricercatori che l’hanno preparato e quanto sono stati pagati:

Si tratta di Renata Bottazzi e Serena Trucchi, entrambe dell’università di Bologna. Bottazzi precisa via mail: «Ho condotto insieme a Serena Trucchi un progetto commissionato dalla Fondazione Eyu dal titolo “Casa, ma solo di proprietà?” riguardo il rapporto degli italiani con il concetto di proprietà della casa. […].Tale attività è stata svolta tra l’ottobre e il dicembre 2015, e si è conclusa con la consegna, da parte nostra, di un rapporto inviato il 10 dicembre 2015. Il compenso omnicomprensivo per tale attività consiste nel totale di 3.500 euro lorde per ciascuna delle due ricercatrici, senza ulteriori indennità o rimborsi spese».

Successivamente Bonifazi ha precisato che “la fondazione, come da contratto sottoscritto, ha svolto tra le tante una prestazione retribuita e non ha in alcun modo riversato quell’importo al Pd e a dimostrazione di ciò è sufficiente guardare il rendiconto elettorale depositato presso la Corte dei Conti”.

Cos’è la Fondazione EYU?

Il nome della fondazione deriva dagli allora tre media del PD, ovvero Europa, Youdem e l’Unità, che nel frattempo sono finiti come tutti sanno. “Creatura” del tesoriere del Partito Democratico Francesco Bonifazi – impegnato in questi mesi anche sul fronte dei decreti ingiuntivi nei confronti dei “morosi” ex PD, tra cui l’ex presidente del Senato Piero Grasso – la fondazione annuncia progetti “su temi vitali quali l’immigrazione, la sharing economy, le prospettive di lavoro per i millennials e tanto altro”. D’altro canto, come spiegava lo stesso Bonifazi tempo fa, la EYU è “Una fondazione riconosciuta presso la Prefettura di Roma e che, per la qualità delle iniziative e degli approfondimenti che ha svolto, dopo un vaglio di sei mesi è stata ammessa all’interno della Feps (Foundation for European Progressive Studies)”.

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C’è altro? Ieri Thomas Mackinson e Luigi Franco ne hanno parlato sul Fatto:

Lo statuto parla di “scopi di utilità e di coesione sociale, e di promozione dello sviluppo economico”. Ma la fondazione –nata nell’ottobre 2014 anche per acquisire una parte delle azioni dell’Unità – si muove piuttosto come un comitato d’affari, un contenitore per donazioni che offre “servizi”a pagamento. Tra i circa 400 mila euro raccolti a vario titolo nel 2016 ci sono ad esempio i 50 mila euro versati da Manutencoop per l’organizzazione di un evento intitolato “Le città del futuro”, in programma il 27 ottobre di quell’anno a Bologna.

Il versamento –fanno sapere dallo storico colosso delle cooperative – “era per le attività di organizzazione, quali il catering, l’affitto della sala, la promozione media e i gettoni per i relatori”, molti dei quali esponenti del Pd, come il renziano Filippo Taddei, in quel momento responsabile Economia del partito oltre che coordinatore del comitato scientifico della fondazione. Per ammissione della stessa Manutencoop negli ultimi dieci anni è l’unico versamento effettuato a una fondazione legata alla politica per l’organizzazione di un evento.

Nell’articolo si accusa (velatamente) la Fondazione EYU di usare dipendenti PD in cassa integrazione per il lavoro quotidiano. E si insinua anche che sia “più vicina a Renzi che al partito e potenziale veicolo per traghettare il suo gruppo dirigente verso un nuovo soggetto politico, senza il peso dei debiti di quello vecchio”. Insomma, ce n’è di materiale per discutere. Non solo: Falci nel suo articolo ha affermato che lo studio per Parnasi esiste, come conferma la nota di Bonifazi, e non ha mai affermato che il valore dello studio fosse di 7mila euro (la parola “valore” non è nemmeno presente in tutto l’articolo): quello era il costo totale del contributo offerto dai due ricercatori che hanno scritto lo studio. Tutto questo vale una querela per Bonifazi?

Leggi sull’argomento: La storia dei 123mila euro di Parnasi alla Fondazione EYU

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