Moody’s boccia il governo, non (ancora) il paese

di Massimo Famularo

Pubblicato il 2018-10-24

Nonostante la retorica gulloleghista farnetichi di “Attacco al popolo” o alla nostra economia, è bene chiarire che la bocciatura incassata prima dai mercati e ratificata poi dal downgrade dell’agenzia di rating Moody’s riguarda la politica economica del governo. Anzi, il risparmio privato delle famiglie italiane, e la connessa prospettiva del governo di aggredirlo con imposte patrimoniali …

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Nonostante la retorica gulloleghista farnetichi di “Attacco al popolo” o alla nostra economia, è bene chiarire che la bocciatura incassata prima dai mercati e ratificata poi dal downgrade dell’agenzia di rating Moody’s riguarda la politica economica del governo. Anzi, il risparmio privato delle famiglie italiane, e la connessa prospettiva del governo di aggredirlo con imposte patrimoniali è considerato l’unico baluardo prima che debito pubblico del nostro paese venga declassato al livello di “spazzatura”.

 

Da leggere: Rating, cosa succede dopo Moody’s

 

Per chi avesse ancora dubbi sui danni che può portare alla collettività una manovra di bilancio  che con obbiettivi di rapporto deficit/pil al 2,4% per il prossimo anno, l’agenzia di rating scrive a chiare lettere che la prima motivazione per il downgrade è costituita dall’indebolimento fiscale connesso a deficit di bilancio superiori alle aspettative e conseguente permanenza del rapporto debito PIL su livelli elevati. Per contro, nel motivare le ragioni del outlook stabile, Moody’s sostiene che la debolezza sulla componente fiscale del merito di credito del paese è bilanciata da una economia diversificata, con imprese capaci di generare un surplus commerciale e un risparmio delle famiglie in grado di costituire un “cuscinetto” nei confronti delle potenziali necessità del governo. Il messaggio chiaro, che la retorica di bassa lega del governo cerca di offuscare, è dunque il seguente: la politica del governo distrugge la ricchezza presente del nostro paese (maggiore spesa per interessi comporta la necessità di incrementare il carico fiscale e/o ridurre l’offerta di servizi pubblici), contribuisce a minare ulteriormente le già ridotte prospettive di crescita futura e tutto al solo fine di attribuire qualche modesto beneficio ad una sparuta minoranza, che ne ha determinato il successo elettorale.

 

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Su tutta la trista vicenda aleggia il fantasma della crescita che non c’è e che non ci sarà: la seconda motivazione del downgrade riguarda appunto l’elevata probabilità che le previsioni di crescita su cui si basa la manovra del governo siano irrealistiche. Cade pertanto anche l’ultima foglia di fico sulla pseudoeconomia populista: distribuire denari a una frazione dei propri elettori, come peraltro testimonia la storia italiana degli ultimi 30 anni, non ha alcuna possibilità di contribuire alla crescita economica del paese che rimarrà dunque legata alla produttività dei nostri fattori, variabile zavorrata da un apparato statale inefficiente e dalla endemica carenza di investimenti in capitale umano, alla capacità di innovare del nostro tessuto industriale e imprenditoriale, che troppo spesso trova più semplice e veloce emigrare piuttosto che combattere contro i mulini a vento della burocrazia e difendersi dagli artigli rapaci del fisco. Dunque è inutile cercare tra gli aridi analisti delle agenzie di rating o tra i perfidi Euroburocarti o peggio ancora tra gli speculatori finanziari senza cuore: i veri nemici del popolo che stanno dissipando le risorse presenti del paese e ipotecando quelle future si trovano al governo, con buona pace dei cittadini che gli hanno accordato la maggioranza dei consensi.

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