Minniti accompagna Renzi all’uscita del Partito Democratico

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-12-06

L’ex ministro ritira la candidatura e sostiene che il senatore di Scandicci non c’entri nulla con la decisione. Che apre le porte alla vittoria di Zingaretti e all’uscita dei renziani dal partito. In attesa del redde rationem alle Europee

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Diciotto giorni e addio. Marco Minniti ufficializza in un’intervista a Repubblica la rinuncia alla candidatura a segretario del Partito Democratico perché Matteo Renzi non lo ha esplicitamente appoggiato, dimostrando così che la sua partecipazione alle Primarie dipendeva dall’ex leader e dall’appoggio che pensava di ricevere dai renziani.

Minniti accompagna Renzi all’uscita del Partito Democratico

Nell’intervista Minniti sostiene di essersi ritirato perché c’erano troppi candidati e il rischio era che nessuno raggiungesse il 51% e a Claudio Tito lo ribadisce ben due volte: Renzi non c’entra nulla con il suo ritiro. In realtà, come sappiamo da molto tempo, il problema è che Renzi, secondo i rumors sempre più insistenti che circolavano in queste settimane, si stava preparando (per l’ennesima volta) all’uscita dal partito e alla nascita di una sua formazione politica. Questo ha convinto Minniti, che non a caso parla in più occasioni di rischi per l’unità del partito, a mollare.

Ma forse il dato determinante è che Renzi non ha mai speso una parola in questi giorni per smentire la scissione?
«Le scissioni sono sempre un assillo. Sappiamo perfettamente che il Pd ha pagato un prezzo durissimo. Ha pagato un prezzo altissimo a congressi cominciati e mai finiti. Spero che non ci sia alcuna scissione, sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti».

Qualcuno potrebbe dire che ha avuto paura.
«Paura? La mia storia personale dimostra che ho affrontato situazioni ben più impegnative di questa. Io lo faccio solo per il Pd. So che c’è il rischio di deludere chi ha deciso di concedermi un affidamento. Ma ci sono momenti in cui bisogna assumersi delle responsabilità personali. Per troppo tempo il partito si è adagiato su uno specchio deformato in cui ci si chiedeva “che faccio io?Un eccesso di personalizzazione. Ma il destino di un partito non può essere legato alle singole persone».

Nel Pd molti definivano “renziana” la sua candidatura. Lei ha rifiutato questa etichetta. Si aspettava una maggiore collaborazione dai renziani?
«La mia decisione è indipendente dall’affetto politico che si è manifestato. Io ero in campo per difendere il nucleo riformista del Pd e arrivare ad un esito legittimante. Il resto non esiste».

matteo renzi marco minniti

Ne ha parlato con Renzi?
«Non ci siamo sentiti».

Insisto: ha avuto un peso il fatto che Renzi non abbia trovato il tempo di smentire la scissione?
«Spero davvero che nessuno pensi a una scelta del genere. Si assumerebbe una responsabilità storica nei confronti della democrazia italiana. Questo passaggio va oltre la cronaca. Indebolire il Pd significa indebolire la democrazia italiana. Mai come adesso rischiamo uno slittamento. Mai come adesso le differenze tra i partiti sono tanto nette».

La teoria del Big Bang PD

La scelta di Minniti arriva mentre Graziano Delrio annuncia che rimarrà nel partito anche in caso di addio di Renzi, e riporta davanti al banco degli accusati l’ex segretario e premier: il punto di Stefano Cappellini su Repubblica è la summa delle accuse che arriveranno in questi giorni sulla sua testa:

Accade spesso all’ex premier di essere distratto quando si parla del partito di cui è stato leader. Renzi amava dire, del resto, di non occuparsi nemmeno di elezioni locali – quasi tutte malamente perse dai dem in questi anni – e restituire l’idea che la distrazione gli impedisse in fondo di dire ben di peggio del Pd. Essendo le analisi renziane tutte basate sull’assunto che i (pochi) successi elettorali dell’ultimo lustro siano suoi personali e i (molti) insuccessi causa del suo stesso partito.

matteo renzi contributi europei

Renzi lo definisce il “fuoco amico”, o anche la “spersonalizzazione”, concetto coniato di recente per sostenere che il 18 per cento raccolto dai dem alle politiche sia da attribuire a Paolo Gentiloni o comunque al presunto passo di lato del vero leader. Il che è in fondo, ai suoi occhi, anche il peccato capitale di questo congresso dem appena aperto: non prevede che si possa votare per Renzi e ciò lo deve rendere ai suoi occhi particolarmente inutile.

La scelta di Minniti apre scenari di Big Bang all’interno della Galassia del Partito Democratico: la decisione dell’ex ministro dell’Interno spalanca a Renzi le porte di uscita da un partito che adesso lo incolperà ancora di più delle sue sconfitte, mentre i renziani democratici e non da mesi se non anni sono convinti che sia necessario lasciare il Partito Democratico e adesso la loro voce acquisterà più forza. Un addio di Renzi spalanca le porte al ritorno nel PD di chi se n’era andato per formare LeU oltre che a una vittoria facile di Zingaretti alle primarie mentre a maggio le elezioni europee potrebbero già servire a testare la consistenza del Partito Democratico derenzizzato e della nuova formazione politica del senatore di Scandicci. Se andasse così, i popcorn aiuterebbero a digerire lo spettacolo della Rottamazione prossimo venturo: o quella definitiva di Renzi o quella definitiva del PD.

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