Economia
Marco Ponti e quella TAV che non è poi così male
neXtQuotidiano 09/03/2019
Lo studio a cui ha partecipato la società dell’analisi costi-benefici di Toninelli dà un parere sostanzialmente favorevole all’opera. Ma Ponti si difende
La storia dello studio della società di Marco Ponti, il professore che ha firmato l’analisi costi-benefici della TAV, svolto per l’Europarlamento e sostanzialmente positivo nel giudizio sull’opera, è piombata nella querelle dell’Alta Velocità come un macigno. L’ex professore del Politecnico di Milano si è difeso ieri: «Di quello studio non ne conoscevo nemmeno l’esistenza. E infatti non c’è la mia firma. Figuratevi se sono al corrente di tutte le consulenze che svolge Trt».
Il professore ha fondato nel 1992 la società di consulenza Trasporti e Territorio. È uno dei soci,«ma con una quota di minoranza», e«non percepisco un euro, come non mi paga un euro il Mit». Ponti però si chiama fuori dai risultati di quello studio. «I miei soci e colleghi — spiega l’esperto 77enne —hanno calcolato solo i benefici ma non i costi. Si tratta di un’analisi d’impatto che ha finalità scientifiche ma non serve in supporto a una decisione politica».
Forse si tratta quindi di una mera questione di prospettiva. Però lo studio “The impact of TEN-T completion on growth, jobs and the environment” fa emergere che ogni miliardo investito per l’opera genera nei prossimi 10 anni 15 mila posti di lavorio. E che alla fine della realizzazione dell’infrastruttura l’occupazione creata arriverà a quota 153mila, senza considerare l’indotto. Posti di lavoro – si specifica – creati tra «trasporti, turismo e sviluppo di aziende per nuovi mercati nei Paesi interessati dalla Tav (Italia, Francia, Spagna e Portogallo) al netto dei lavoratori direttamente coinvolti nel progetto». Non solo. Ci sarà un risparmio di tempo del 30% per i passeggeri e del 48% per le merci per il corridoio mediterraneo che va da Gibilterra a Budapest (la Tav consentirebbe infatti di attraversare la barriera naturale europea più complicata, le Alpi, che tagliano fuori l’Italia). Con un incremento aggiuntivo del Pil pari all’1,6% entro il 2030 e 26 milioni di tonnellate di anidride carbonica non immesse nell’aria dal 2017 al 2030.
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