M5S-Lega, l’appetito di governo viene mangiando

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-03-18

L’accordo sulla presidenza delle camere potrebbe costituire il trampolino di lancio per l’accordo tra Salvini e Di Maio. Poi il governo. Ma senza che nessuno dei due possa fare il presidente del consiglio

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È la presidenza delle camere il primo banco di prova per l’intesa tra MoVimento 5 Stelle e Lega. E curiosamente sono proprio i veti del M5S ai candidati condannati Roberto Calderoli e Paolo Romani a stabilire il metodo di costruzione di una trattativa che potrà andare avanti per mesi. Ma che parte da un punto fermo: l’alleanza si può fare con la Lega ma non con Forza Italia.

La conventio ad excludendum tra Salvini e Di Maio

Un accordo tra Lega e MoVimento 5 Stelle per la Camera e il Senato ha davanti quindi il primo ostacolo: il capo politico del M5S, ribadendo il metodo, avverte che «saranno considerate inaccettabili le proposte di candidati, per qualsiasi carica istituzionale, che siano condannati o sotto processo». Senza citarli, Di Maio mette nel mirino Romani di Fi e Roberto Calderoli della Lega. Sono i due nomi in lizza per lo scranno più alto di Palazzo Madama. Entrambi inseguiti da guai giudiziari. Romani ha una condanna in primo grado per peculato, Calderoli rischia di ripiombare in un processo per odio razziale, dopo aver offeso l’ex ministro Cécile Kyenge, se la Corte Costituzionale deciderà di riaprirlo, come sembra.

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In più il M5S ha l’arma dell’accordo con il Partito Democratico sulla presidenza di una delle due camere da brandire per convincere Salvini. Ma se il candidato per una delle due camere fosse scelto dai grillini nel PD, poi sarebbe dura rivendicare l’altra presidenza per sé. E Di Maio non sembra aver voglia di farlo. Anche in virtù del “piano diabolico” sui vitalizi ieri favoleggiato dai renziani.

La data chiave è il 23 marzo

La data chiave è il 23 marzo, ovvero il giorno in cui si dovrà votare per la presidenza delle camere. Di Maio e Salvini contano di arrivare a quel giorno con un accordo di spartizione tra le due cariche già sottoscritto. A quel punto cominceranno le consultazioni e saranno proprio i due presidenti appena eletti a parlare per primi con Mattarella. Prospettandogli la possibilità che la maggioranza che ha eletto i due presidenti possa anche diventare quella che sostiene il prossimo governo. Con il sostegno, non convintissimo, degli elettori.

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Il sondaggio di Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera (17 marzo 2018)

A quel punto però partirà la trattativa più dura. Quella per la presidenza del Consiglio, che Salvini non può rivendicare se non in coalizione con il centrodestra (perché altrimenti la Lega non ha certo la maggioranza relativa) e Fratelli d’Italia si è detta ieri indisponibile a sostenere un governo che non sia nell’ambito della stessa coalizione. La chiusura della Meloni non è casuale: se Salvini facesse davvero l’accordo con Di Maio per il partito uscito malconcio dalle elezioni regionali nel Lazio si aprirebbero praterie a destra. Ovvero nel territorio di caccia percorso da Salvini fino al 4 marzo, a detrimento proprio di FdI.

Il M5S vuole evitare il voto-bis

Intanto nel centrodestra già agitato esplode il caso dell’affondo di Libero contro Brunetta e la sua chiusura a un accordo con il M5S. Interviene anche Berlusconi: «Non ci faremo intimidire dalle aggressioni, lavoriamo per far uscire il Paese dallo stallo e assicurare un governo stabile». Il quotidiano di Feltri si è riposizionato dopo le elezioni, sposando la linea salviniana e mollando Berlusconi, considerato ormai il leader perdente del centrodestra. Per questo appoggia Salvini e bastona gli avversari, anche quelli interni.

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È quindi naturale la spinta che arriva anche dall’inerzia alla soluzione della crisi con l’incarico a una personalità scelta da Salvini e Di Maio. Ma senza che siano i due leader a scendere in campo direttamente: il Capitano ha già offerto la sua leadership nella trattativa, per spingere il grillino a fare lo stesso. Ma cosa dovrà fare questo governo? Ci sono due ipotesi. La prima è quella minimalista, che vorrebbe l’esecutivo in carica per il tempo necessario a votare una legge elettorale con il premio di maggioranza, che potrebbe far conquistare al centrodestra unito la leadership. Il M5S si è sempre detto contrario al premio di maggioranza e gli conviene pensare a un esecutivo senza scadenza.

Le due ipotesi e la terza a sorpresa

Anche perché riportare il paese rapidamente alle urne è una decisione piena di incognite. Quanto durerà lo stallo e perché a un certo punto gli altri partiti non potrebbero accordarsi per un esecutivo che escluda il M5S? In più c’è un’altra carta che Di Maio potrebbe giocare. Con l’accordo M5S-Lega in tasca il leader grillino potrebbe tornare a bussare alla porta del Partito Democratico, forte dell’argomento della prospettiva di un PD che non “tocca palla” per tutta la legislatura e si consegna alle urne da posizione di difficoltà.

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Il sondaggio SWG pubblicato dal Messaggero (16 marzo 2018)

E allora perché non tentare la carta dell’appoggio del PD a un governo sostenuto da entrambi in una prospettiva in cui l’esecutivo amministra e il parlamento legifera, ovviamente cercando i voti per i progetti a Montecitorio e a Palazzo Madama? Se cade la leadership di Di Maio e la prospettiva dell’«investitura popolare» che il capo politico M5S con piglio sudamericano ha prospettato nei giorni scorsi i giochi si potrebbero riaprire.

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