Luigi Di Maio ministro degli Esteri, cosa può mai andare storto?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-04

Se è vero che nel panorama politico attuale Di Maio non sembra la persona più versata nelle arti della diplomazia è anche vero che da qualche parte lo si deve pur mettere. Ma vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno. Di Maio alla Farnesina potrebbe anche andarci bene: qualcuno sa che cosa ha fatto il ministro Moavero Milanesi in questi quattordici mesi? È un buon auspicio!

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Ora che Rousseau ha ratificato l’accordo di governo con il PD per un Conte-bis c’è da pensare alle poltrone. E soprattutto a quella di Luigi Di Maio che – poverino – non potrà più fare il vicepremier, il ministro del Lavoro e il ministro dello Sviluppo Economico. Per lui si pensa ad un incarico di prestigio che lo tenga lontano dai guai della politica nazionale, in modo da non compromettere ulteriormente la figura del Capo Politico del MoVimento 5 Stelle.

Tutte le volte che Di Maio si è fatto odiare dai francesi

La soluzione? Il Ministero degli Esteri, alla Farnesina Di Maio potrà continuare a seguire i viaggi delle arance che vanno in Cina magari occuparsi della Belt and Road Initiative ma anche accreditarsi come politico di razza, uno che vola al di sopra delle miserie del quotidiano per elevare lo sguardo oltre i confini nazionali grazie alla sua precisa e acuta visione d’insieme. E poi volete mettere? Potrà girare il mondo, chissà se lo farà a bordo dell’Air Force Renzi che è ancora fermo negli hangar. Agli Esteri Di Maio non può sfigurare, non sarà costantemente paragonato con i suoi predecessori. A meno che qualcuno non sappia che cosa ha fatto in questi 14 mesi il ministro Moavero Milanesi? Ma fortunatamente non lo sa nessuno. Il lavoro del ministro degli Esteri è delicato, si deve esercitare al massimo la sottile e difficile arte della diplomazia.

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Sulla carta andrebbe tutto bene, se non fosse che il candidato in questione è Luigi Di Maio. Il nostro non è Di Battista, un giramondo fatto e finito che ancora ce la mena con la storia che ha lavorato per una Ong (ma di quelle buone eh mica i taxi del mare!) ormai dieci anni fa come se questo fosse una patente per poter difendere Assad o non prendere una posizione sulle vicende in Venezuela.Lui al massimo è andato a fare una “lezione” ad Harvard, salutata come se fosse una lectio magistralis da certi corifei pentastellati. Di Maio è diverso, è uno che parlava della tradizione democratica millenaria della Francia e che al tempo stesso incontrava il “leader” dei Gilet Gialli cercando improbabili alleanze con un movimento che voleva rovesciare un presidente eletto dal popolo (ah già, perché la Francia è davvero una repubblica presidenziale). Per inciso ai francesi la cosa del ministro che incontra i gilet jaunes proprio non è piaciuta. Sembra incredibile ma in questi anni Di Maio e il M5S hanno fatto di tutto per indispettire la Francia, il nostro principale partner europeo assieme alla Germania.

Un consiglio: Di Maio studi un po’ di storia e di geografia, non può far male

A favore di Di Maio giocano anche le sue importanti entrature. Vi ricordate quella volta che mentre infuriavano gli incendi in Campania il leader pentastellato alzò la cornetta e chiamò l’ambasciata francese per chiedere l’invio dei Canadair? Finalmente un uomo che non si vergogna di chiedere aiuto. Peccato che dall’Ambasciata abbiano poi smentito di aver ricevuto richieste in tal senso. Di Maio disse poi di aver chiamato le ambasciate tedesche e austriache, ma forse non sapeva che la Germania e l’Austria non sono fra i quattro paesi europei che dispongono di aerei CanadairSuccede.

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E cosa dire di quella volta che Di Maio (assieme a Di Battista e a tutto il M5S) hanno attaccato la Francia sul Franco CFA spiegando che ci riempie di immigrati? Addirittura il vicepremier all’epoca (era il gennaio del 2019) condivise la carta ufficiale delle proposte dei Gilet Gialli, quella che prevede tra le altre cose la Frexit, per spiegare che «stiamo criticando legittimamente la politica estera francese sull’Africa degli ultimi governi che ha danneggiato anche l’Italia in termini di flussi migratori e effetti economici». Ed ecco quale potrebbe essere il primo impegno del nuovo ministro: «il tema dello sfruttamento delle risorse africane e della decolonizzazione dell’Africa». Chissà come la prenderanno gli amici cinesi, quelli delle arance di cui sopra. E speriamo che Di Maio abbia ripassato la storia e sappia collocare Pinochet in Cile (e non in Venezuela). Sarà interessante vedere il sovranista Di Maio alle prese con la politica estera, dove la difesa degli interessi nazionali non coincide esattamente con la definizione corrente di sovranismo. E chissà che il M5S scelga finalmente da che parte stare tra Putin e l’Unione Europea sulle sanzioni alla Russia.

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Un assaggio di quella che potrebbero essere le politiche che il nuovo ministro porterà avanti lo abbiamo avuto in occasione della campagna delle politiche quando Di Maio presentò il programma esteri del M5S spiegando che «Il nostro obiettivo è garantire una guida politica che dia continuità alle politiche del passato che condividiamo». Poche idee ma ben confuse, quale viatico migliore per questa nuova avventura? Ah, c’è solo un problema: Di Maio agli Esteri non avrà una grande visibilità, il rischio è che Conte si prenda il centro della scena a 5 Stelle, a meno che Di Maio non trovi un modo per rendere emozionante sui social la politica estera (no, non stiamo suggerendo l’idea di andare in guerra).

 

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