Gilet gialli: come Di Maio è riuscito a perdere la faccia (e a farla perdere all’Italia)

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2019-04-10

Ospite di Fabio Fazio su Rai1, il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio ha dichiarato di essersi pentito dell’incontro (fatto insieme a Di Battista) con alcuni esponenti dei gilet gialli. Partiamo dalle sue dichiarazioni: “Quando io ho visto che una parte di gilet gialli stava creando questa lista sono andato ad incontrarli non per stringere …

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Ospite di Fabio Fazio su Rai1, il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio ha dichiarato di essersi pentito dell’incontro (fatto insieme a Di Battista) con alcuni esponenti dei gilet gialli. Partiamo dalle sue dichiarazioni:

“Quando io ho visto che una parte di gilet gialli stava creando questa lista sono andato ad incontrarli non per stringere subito un’alleanza ma per dirci che cosa avete nei programmi… …Però è chiaro che poi dopo anche grazie ad uno scoop di un giornalista italiano abbiamo scoperto che c’erano delle idee un po’ violente”

La versione di Di Maio è un capolavoro d’ipocrisia, ricorda quei bambini che beccati con le dita nel barattolo di Nutella, dicono alla mamma che stavano solo controllando se il coperchio era chiuso bene. Cerchiamo di capire perché il suo appoggio al movimento di protesta francese sia stata una mossa avventata, inopportuna e dilettantesca, la cui gravità va ben oltre un semplice passo falso.

di maio di battista quota 41 - 1

I gilet gialli cominciano a farsi conoscere nel novembre del 2018 e si caratterizzano per non avere un capo o una struttura formalizzata. Ben presto l’ala moderata, se mai c’è stata, viene offuscata da estremisti che mettono letteralmente a ferro e fuoco Parigi e la Francia. Alla richiesta originaria (abbassare le tasse sui carburanti) se ne sommano altre in vari papelli elaborati dalle molte anime del movimento, alcune molto discutibili, altre completamente prive di senso (non pagare gli interessi sul debito, vietare le delocalizzazioni delle imprese francesi, pensioni a 60 anni, ritiro degli autovelox, divieto del commercio di pesticidi, uscita dalla Francia dalla UE). Quando il 7 gennaio Di Maio pubblica il famoso articolo in cui invita i gilet gialli a non mollare, ci sono già svariati elementi che avrebbero consigliato anche al più inesperto dei politici una camionata di prudenza: blocchi stradali in tutta la Francia, qualche morto, migliaia di arresti, milioni di euro di danni, centinaia di auto date alle fiamme, la vandalizzazione di monumenti a Parigi, centinaia di feriti, ministeri presi d’assalto con le ruspe e l’arresto di Eric Drouet, uno dei più importanti leader della protesta.

Nel suo post del 7 gennaio Di Maio si mostra sicuro di conoscere molto bene i gilet gialli: “Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza”. Addirittura lo paragona al M5S: “E’ lo stesso spirito che ha animato il Movimento 5 Stelle e migliaia d’italiani”, inoltre dichiara apertamente di volerli sostenere: “Il Movimento 5 Stelle è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno”. Tuttavia la cosa forse più grave e goffa è l’offerta della piattaforma Rousseau. Questo passaggio non è stato sottolineato sufficientemente all’epoca. Cerchiamo di rifletterci: in pratica Di Maio, il più importante leader politico italiano, nel tentativo di prenderne le redini, ha offerto l’uso della piattaforma web del M5S a un movimento di un paese amico che si muove sul filo sottile dell’eversione (vi immaginate Casaleggio che gestisce i nominativi e le votazioni dei gilet gialli?). Scusate tanto se i francesi, come dice la canzone di Paolo Conte, “S’incazzano”. La politica internazionale, a differenza di quella italiana, è una cosa seria. Non contento il nostro novello genio dei rapporti internazionali, ha continuato ad attaccare il governo francese, incolpandolo di essere responsabile dell’immigrazione dal continente africano verso l’Europa (ci riferiamo alla ridicola storia del Franco CFA). In un delirante post e in alcune dichiarazioni minaccia addirittura di chiedere alla UE delle sanzioni contro la Francia e di sbarcare gli immigrati direttamente a Marsiglia (capirete anche voi, non è carino minacciare un paese alleato di attraccare con la forza nei suoi porti). Nulla di cui stupirsi, quindi, se il governo francese reagisce convocando l’ambasciatore italiano a Parigi il 21 gennaio. Ma per il nostro giovane statista non è abbastanza, la sua totale incapacità di valutazione lo porta a rilanciare anche quando non c’è nulla da guadagnare e tutto da perdere. Arriviamo così al 5 febbraio, Di Maio decide di fare un salto in Francia con il sub comandante Di Battista per incontrare i gilet gialli. Sul suo post di Facebook usa proprio il termine “salto”, probabilmente per sembrare più friendly mentre prende a picconate le relazioni diplomatiche con i cugini d’oltralpe.

“Oggi con Alessandro Di Battista abbiamo fatto un salto in Francia e abbiamo incontrato il leader dei gilet gialli Cristophe Chalencon“

Il post è ovviamente seguito dalla solita foto di gruppo sorridente, di quelle che si fanno dopo una partita di calcio tra scapoli e ammogliati. Immediatamente tutti gli altri leader dei gilet gialli si tirano fuori dal tentativo d’abboccamento e dichiarano di non condividere la decisione di Cristophe Chalencon. Il dubbio è che sia stato l’unico esponente che Di Maio e il suo staff siano riusciti a convincere. Chalencon è un simpatico Masaniello che già a dicembre aveva auspicato la destituzione del presidente Macron e la presa del potere da parte di una giunta militare. In questo video, mandato in onda da “Piazza Pulita”, dice di aver raggiunto con Di Maio e Di Battista un accordo su tutto (anche sul golpe?). Inoltre afferma che un non meglio precisato numero di paramilitari è pronto a intervenire… Da notare che il “salto” di Di Maio in Francia è avvenuto senza avvertire né il governo né le autorità locali, si tratta di una cortesia istituzionale indispensabile quando un leader politico e di governo si reca in un altro stato, fosse anche per una semplice vacanza (come farà poi notare il portavoce del governo francese, Benjamin Griveaux). La visita a Chalencon è davvero troppo. Il 7 febbraio la Francia richiama il proprio ambasciatore dall’Italia, un passo di una gravità inaudita e senza precedenti nel dopoguerra. Si segnala che, per ironia della sorte, lo stesso giorno Di Maio pubblica su Facebook una lettera di risposta a Juan Guaidò, presidente dell’assemblea nazionale venezuelana, in cui ribadisce di “voler evitare ogni ingerenza esterna”. Il nostro vice presidente del consiglio, evidentemente, ama praticare la prudenza solo quando rischia di dare un dispiacere al presidente Maduro. Sempre il 7 febbraio Di Maio rivendica il suo diritto di interloquire con chi vuole, ma i toni cominciano ad ammorbidirsi, forse si rende conto di averla fatta davvero fuori dal vasino. Nelle stesse ore spedisce la famosa e confusa lettera a “Le Monde” (quella in cui parla di tradizione democratica millenaria della Francia) per spiegare le sue ragioni. Intanto, per sua fortuna, le polemiche sul Festival di San Remo riempiono le pagine dei giornali e dopo circa una settimana, grazie ai buoni uffici del presidente Mattarella e di chi sa quanti altri pontieri, la Francia rispedisce il proprio ambasciatore a Roma. Ovviamente, sotto la patina delle dichiarazioni ufficiali, i rapporti tra la presidenza francese e l’attuale governo italiano risultano irrimediabilmente compromessi. Adesso questo impreparato improvvisatore, senza la benché minima consapevolezza delle conseguenze dei suoi atti, pretende di convincerci che lui ha semplicemente voluto verificare se c’erano dei punti programmatici in comune con i gilet gialli. Bene, fosse così sarebbe bastata qualche telefonata di qualche collaboratore dopo aver identificato gli interlocutori adatti. Un vice presidente del consiglio e leader del primo partito italiano non dovrebbe incontrare di nascosto (e farsi foto ricordo) personaggi in odor di eversione in paesi storicamente amici e alleati. Ma, soprattutto, non dovrebbe apparire così sprovveduto da dire di aver cambiato idea perché ha visto un servizio in tv.

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