L’esposto del PD contro Luigi Di Maio sull’Ardima Srl

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-12-05

Il Partito Democratico continua ad andare all’attacco sul caso della ditta di famiglia del vicepremier. Questa volta però non lo fa lanciando accuse contro il padre di Di Maio ma chiamando in causa lo stesso ministro del Lavoro nonché titolare al 50% della società di famiglia frutto di una “fusione aziendale” con quella di proprietà della madre

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Il deputato del Partito Democratico Carmelo Miceli ha presentato un esposto alla Procura di Napoli per fare luce sulle ormai note vicende che riguardano l’Ardima, l’azienda di famiglia di Luigi Di Maio. Ieri a Porta a Porta il vicepremier ha annunciato che la società di cui è socio al 50% assieme alla sorella sarà messa in liquidazione dal momento che nell’ultimo anno non ha più ricevuto commesse. L’esposto si concentra su alcune ipotesi di reato: sottrazione fraudolenta di patrimonio al pagamento delle imposte, lavoratori in nero, dichiarazioni fiscali infedeli, falso in bilancio, intestazione fittizia.

Quali sono le ipotesi di reato dell’esposto del Partito Democratico

Sarà la Procura di Napoli a dover verificare la fondatezza dell’esposto. Secondo Miceli, avvocato e membro della Commissione Antimafia,  «è la conseguenza di una serie di dichiarazioni che hanno il sapore della confessione, prima di Luigi Di Maio e poi da Antonio, il padre. Sono loro ad aver detto che il dominus di tutte le aziende è sempre stato il padre. Ci suona strano comprendere come si sia possibile dire che l’attività di famiglia e l’esercizio della ditta individuale sia stata condotta nel tempo dal padre, quando la ditta era stata prima intestata alla madre e poi ai figli». La vicenda è quella rivelata dalle Iene secondo cui Di Maio avrebbe fatto da prestanome per salvare la ditta di famiglia da Equitalia e riguardo la quale era intervenuto proprio il padre del Capo Politico del M5S.

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Continua Miceli: «Se è  vero come è vero che la ditta individuale del padre, ovvero quella che a monte ha generato la dinastia di imprenditori edili, è stata chiusa per debiti nei confronti dello Statoci chiediamo se quei debiti non sono stati onorati, perché quel patrimonio, anche di conoscenze e know how, non è stato valorizzato, quantificato e poi pagato alla ditta, per poi pagare lo Stato».

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Secondo Miceli il patrimonio è stato «trasferito palesemente e illegalmente alla ditta» aperta da Luigi Di Maio e dalla sorella Rosalba nel 2012 e divenuta operativa (stando alle dichiarazioni del vicepremier) nel 2014. Per il deputato PD guardando i bilanci delle due società c’è un’evidente continuità tra le due operazioni (la chiusura della Ardima di Paolina Esposito e l’apertura dell’azienda dei due fratelli): «se una ditta chiude per debiti e trasferisce il proprio patrimonio ad un’altra ditta è un reato molto grave punito dall’articolo 648 del codice penale. C’è una evidente continuità tra le due operazioni». La strategia di attacco del Partito Democratico è chiara: da un lato evidenziare come anche il padre di Di Maio abbia delle “colpe” dall’altro puntare il dito direttamente contro il ministro del Lavoro come parte in causa e non vittima a sua insaputa degli errori dei genitori.

Quando Di Maio diceva che la Ardima Srl era frutto di una “fusione aziendale”

Secondo Miceli «quando la ditta individuale di Antonio Di Maio chiude, ha un patrimonio di 80 mila 258 euro. Quando apre la Ardima rimane inattiva per due anni eppure, nonostante questo periodo di inattività, l’anno seguente risultano 16 mila euro che non siamo riusciti ad attribuire ad alcuna attività, forse una progettazione? L’anno successivo, però, risulta un aumento di capitale che porta il patrimonio complessivo, da 20mila euro, a 102mila euro. Sembrerebbe che gli 80 mila euro della ditta individuale si siano trasferiti così alla nuova Ardima e quindi poi a quella di Di Maio in continuità con le precedenti. Tutto questo costituisce operazione di ricettazione e intestazione fittizia»

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La tesi dell’esposto sembra essere confermata anche da un post su Facebook del 2015 dove Di Maio spiegava che i 100.200 euro di capitale sociale della Ardima Srl «è frutto del conferimento (chiamiamola pure banalmente “fusione aziendale”) della vecchia società di famiglia – abbiamo una tradizione trentennale – nell’Ardima Srl, costituita da me e mia sorella nel 2012, quando neanche immaginavo che mi sarei candidato alla Camera dei Deputati. I 100.200 euro incriminati non sono frutto di un versamento monetario, bensì rappresentano il cosiddetto “valore di avviamento della società”».

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L’allora vicepresidente della Camera spiegava che «siccome la vecchia azienda che è confluita in Ardima Srl aveva mezzi, macchinari e un fatturato costante nei tre anni precedenti, il valore che le è stato riconosciuto è di 80.200 euro. L’azienda che io e mia sorella avevamo fondato nel 2012, non menzionata prima perché non operante, aveva un capitale sociale di 20.000 euro che sommati agli 80.200 raggiungono proprio il valore di 100.200€». Spetterà ora alla Procura di Napoli fare luce sulla vicenda. Il gruppo dei senatori PD hanno anche chiesto a Di Maio di riferire in Aula circa le vicende dell’azienda di famiglia ma la richiesta di informativa è stata bocciata dall’Aula di Palazzo Madama.

Leggi sull’argomento: Cosa nasconde Di Maio con la storia dei Navigator del Reddito di Cittadinanza

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