Così Luigi Di Maio dimentica lo Statuto del M5S per candidare chi vuole lui

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-04-15

La democrazia diretta è una bella cosa, ma è ancora meglio se a scegliere è il Capo e poi agli iscritti tocca solo “ratificare” una decisione già presa. Perché nel MoVimento 5 Stelle funziona così: gli attivisti votano su Rousseau ma poi a decidere è sempre Di Maio

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La democrazia diretta del MoVimento 5 Stelle? È un bluff. I senatori e i deputati del M5S pagano 300 euro al mese per il mantenimento di Rousseau, la piattaforma di un’associazione privata sulla quale dovrebbero essere prese tutte le decisioni importanti del partito. Ma di fatto gli iscritti, ovvero l’assemblea dei “tesserati” del M5S (ma non dei soci di Rousseau), non hanno alcun potere decisionale quando è il momento delle decisioni che contano. E non stiamo parlando di decidere se salvare o meno Salvini, ma della scelta dei candidati per le elezioni.

La coerenza di Luigi Di Maio sulla democrazia diretta nel M5S 

Le varie consultazioni online, si chiamino parlamentarie, comunarie, regionarie o europarlamentarie danno agli attivisti (e a chi guarda da fuori) l’illusione che effettivamente il popolo pentastellato venga di volta in volta chiamato a decidere chi candidare a deputato o senatore, sindaco, presidente di regione, consigliere comunale o regionale o eurodeputato. Ma non è così. Perché l’ultima parola spetta al Capo Politico che può revocare in ogni momento una candidatura. Questo succedeva con il “vecchio” M5S, quello gestito da Grillo e Gianroberto Casaleggo e accade con il nuovo, quello di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Eppure lo Statuto del MoVimento 5 Stelle parla chiaro.

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L’articolo 4 del nuovo Statuto del partito stabilisce che gli iscritti possano partecipare – mediante lo strumento di democrazia diretta e partecipata – alle decisioni fondamentali per l’azione politica del M5S. Ad esempio l’elezione del Capo Politico (quando venne eletto Di Maio non si candidò praticamente nessuno), quella del Garante (c’è stata?), quelle degli organi statutari (semplicemente ratificata dall’Assemblea). C’è poi «la scelta dei candidati da presentare, sotto il simbolo del MoVimento 5 Stelle, alle elezioni politiche, europee, regionali e amministrative».

Gli iscritti del M5S? Non possono decidere nulla

Ma non funziona così. A Firenze Di Maio ha scelto personalmente il candidato sindaco, Roberto De Blasi, anche se il Meetup storico del M5S della città aveva scelto Giuseppe Soin (e in seguito erano state avanzate le candidature di Lorenzo De Masi e Nicola Cecchi). Una decisione che si pone in continuità ideale con quella di Grillo per le comunarie di Genova, ma almeno senza la farsa del voto online. Ma anche quando il voto online c’è, e addirittura su più “turni” per scremare le migliaia di candidature le cose non vanno come le decidono gli attivisti. Lo dimostra la recente – e ad oggi immotivata – esclusione di Giacinto De Taranto e di altri candidati campani. Alcuni di loro sono stati accusati di aver creato (per le parlamentarie dello scorso anno) profili “clone”, ma le prove non sono solide e potrebbero essere stati vittima di un dossieraggio interno. Per De Taranto invece il motivo sembra essere quello di aver espresso posizioni “free-vax”, che però coincidono quelle professate da diversi parlamentari a 5 Stelle.

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Sempre riguardo alle Europee Di Maio ha anche deciso in totale autonomia quali saranno le capilista nelle cinque circoscrizioni. Una decisione che in questo caso ha escluso le europarlamentari uscenti. Il motivo? Rimane un mistero. C’è chi come Dino Giarrusso spiega che quella del Capo Politico è solo una proposta che dovrà essere ratificata dagli iscritti. Ma nella storia del M5S non c’è stata una proposta dei vertici che non sia stata ratificata dal voto online nel modo “giusto”. Il comune denominatore di tutte queste situazioni è Luigi Di Maio. È il vicepremier-bisministro il tribunale di ultima istanza del M5S che stabilisce chi può essere candidato e chi no. E in molti casi i candidati esclusi non si sono resi colpevoli di violazioni al codice etico del M5S. Anzi, è successo spesso che i candidati scelti personalmente da Di Maio (o che avessero superato il vaglio dello “staff”) si siano poi rivelati essere degli impresentabili.

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Anche nel caso delle “mele marce” non è che Di Maio abbia brillato per la sua coerenza: alcuni sono stati espulsi prima ancora di entrare in Parlamento, altri dopo. Ma non tutti: perché c’è chi si è salvato ed è rimasto a pieno titolo nel M5S. Il MoVimento 5 Stelle ha due pesi e due misure per tutto e non solo per la sua democrazia diretta. Quando fa il gesto delle manette per Tiziano Renzi e tace sui guai del sottosegretario Armando Siri, quando cerca di far cadere la giunta di Imola oppure quando si lamenta delle ingerenze di Macron in Libia dopo aver tentato di destabilizzare la Francia sostenendo i Gilet Gialli. E cosa dire di Toninelli che dice che Salvini senza di lui non avrebbe potuto chiudere i porti e Di Maio che poi fa sapere che Salvini ha sbagliato a chiuderli?

Leggi sull’argomento: Il M5S a Imola è già a rischio caduta

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