Fact checking
Ma Di Maio che chiede le dimissioni di Siri indagato è lo stesso che ha voluto nel governo un bancarottiere?
Giovanni Drogo 19/04/2019
Il MoVimento 5 Stelle oggi che ci sono le elezioni europee in vista vuole mettere la questione morale al primo posto e chiede le dimissioni di Siri. Ma quando Siri è stato nominato sottosegretario il M5S non ha detto nulla riguardo al fatto che avesse patteggiato una condanna a un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta. Come mai?
Luigi Di Maio e il MoVimento 5 Stelle hanno riscoperto il valore dell’onestà. Tutto merito delle indagini per corruzione a carico di Armando Siri, sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché direttore della scuola di formazione politica della Lega di Salvini. Il M5S che ha salvato Salvini dal processo per sequestro di persona chiede le dimissioni di Siri. Toninelli gli toglie le deleghe. L’eurodeputato Fabio Massimo Castaldo scrive su Facebook che senza entrare nel merito della vicenda giuridica «moralmente, per il Movimento 5 Stelle è necessario che Siri si dimetta: un governo che si dice “del cambiamento” non può permettersi una così grave contraddizione etica».
Com’è che la “questione morale” su Siri esplode solo ora?
Insomma non c’è nemmeno bisogno di guardare le carte, la questione è una questione morale. Luigi Di Maio ieri ha detto che si tratta di un fatto grave e il fatto grave «non è il tema di un sottosegretario indagato, ma è il tema di una persona coinvolta in un indagine per corruzione che riguarda addirittura fatti legati alla mafia». Per la vicepresidente del Senato Paola Taverna «non possiamo minimamente transigere su ipotesi di corruzione, per di più pare in odor, o meglio “puzzo”, di mafia». Manca solo il senatore Mario Michele Giarrusso che fa il gesto delle manette, ma evidentemente questa volta non è cosa.
Quando Siri patteggiò un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta
Il “problema” di Siri è che ha patteggiato poco più di quattro anni fa una pena di 1 anno e 8 mesi per bancarotta fraudolenta. Secondo i magistrati che hanno firmato la sentenza, prima del crack Siri e soci hanno svuotato l’azienda trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale americano. Mediaitalia, società che produceva contenuti editoriali per media e aziende (editava anche la rivista della Air One di Carlo Toto), aveva debiti per un milione di euro quando Siri e gli altri soci hanno trasferito il suo patrimonio alla Mafea Comunication, gratuitamente.
I creditori non riceveranno un euro perché – raccontava il Fatto Quotidiano – viene nominata liquidatrice una cittadina dominicana che di lavoro fa la parrucchiera. La vicenda era stata rivelata da L’Espresso. Successivamente il Fatto Quotidiano aveva scoperto che Siri aveva accumulato 40mila euro di debiti nei confronti dell’INPGI (l’istituto di previdenza dei giornalisti) e quasi 150 mila euro di multe per affissioni abusive di manifesti comminate dal comune di Milano.
Per rispondere alle accuse Siri pubblicò su Facebook il certificato penale, pulito, a dimostrazione che non ha condanne. Ma bisogna far notare che quello che Siri ha pubblicato è l’estratto del casellario giudiziario ad uso amministrativo dove è prevista la “non menzione” per le pene inferiori ai due anni. Per completezza e trasparenza Siri avrebbe potuto pubblicare il certificato ad uso elettorale dove invece risultano tutte le condanne. Ma il problema, dicevamo, non è tanto giuridico quanto “morale”. E visto che ai 5 Stelle preme più l’aspetto della “contraddizione etica” saranno interessati a sentire il commento del presidente dell’ANAC Raffaele Cantone che a proposito della dichiarazione di Salvini secondo il quale Siri è una persona onesta e specchiata ha detto che «il giudizio di specchiatezza ha anche un che di soggettivo. Per me uno che patteggia una bancarotta è colpevole di una bancarotta. Poi io ho le mie valutazioni ritenendo che la bancarotta sia un reato grave». Non abbastanza grave evidentemente per suscitare pruriti morali al momento della nomina a sottosegretario. Ma evidentemente quel giorno nel M5S erano in tutt’altre faccende affaccendati. Tanto da dimenticarsi che anche i due capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, sono stati condannati per peculato.
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