Economia

Armando Siri: la pena per bancarotta fraudolenta dell’ideologo della flat tax

Il senatore della Lega ha parlato ieri della sua proposta per il fisco italiano e della condanna ricevuta qualche anno fa per una società svuotata

ARMANDO SIRI

Nella puntata di Report dedicata alla flat tax ieri ha parlato anche Armando Siri, il senatore della Lega che è l’alfiere della proposta del partito di Salvini. Siri ha detto la sua sulle coperture della flat tax e parlato anche del patteggiamento per bancarotta fraudolenta che l’ha visto protagonista:

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: Ma guardi io ultimamente sento solo previsioni negative. Se tu non hai un po’ di speranza nel domani, se non hai un po’ di forza nell’intravedere il domani in modo positivo e cosa fai ti arrendi?

PAOLO MONDANI: Sì, ma voglio dire con la speranza ci facciamo poco. Mi dica qualcosa di più…

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: No ma guardi la speranza, l’immaginazione, i sogni e l’ottimismo sono alla base di tutta la crescita evolutiva dell’uomo. Se lei non immagina le cose, le cose non
avvengono.

PAOLO MONDANI: In estremissima sintesi, possiamo dire che il recupero dei 63 miliardi per voi significa recuperare dall’evasione e stralcio delle cartelle esattoriali.

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: Non è evasione, è sommerso, son due cose diverse. Io non mi rivolgo a quello che deve essere ovviamente perseguito, trovato e come dire sanzionato. Mi rivolgo invece a quei migliaia di atteggiamenti che sono forme di difesa fiscale, di difesa verso un fisco aggressivo, fortemente sanzionatorio.

PAOLO MONDANI: L’Espresso dice che lei ha avuto, ha patteggiato una pena di un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta, ha lasciato un debito, la sua società, di un milione di euro, e non ha pagato tasse per 162 mila euro. Me la racconta questa storia?

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: Ma aver patteggiato non significa aver compiuto atti di bancarotta fraudolenta, io non ho mai compiuto atti di bancarotta fraudolenta.

PAOLO MONDANI: Lei ha riconosciuto che c’era il…

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: No, io non ho riconosciuto affatto nulla.

PAOLO MONDANI: Cioè lei a un certo punto ha detto andiamo a patteggiare perché così me ne libero.

ARMANDO SIRI – SENATORE LEGA: No guardi glielo spiego, no, non è che siamo tutti ricchi o siamo tutti Berlusconi che possiamo pagare gli avvocati. Siamo tutti persone normali

Mondani si riferisce a un articolo pubblicato il mese scorso da Giovanni Tizian e Stefano Vergine su L’Espresso, che racconta le vicende in cui è rimasto coinvolto Siri: la condanna è stata comminata tre anni e mezzo fa dal tribunale di Milano in sede di patteggiamento per il fallimento della Mediatalia, società che ha lasciato debiti per oltre 1 milione di euro. Secondo i magistrati che hanno firmato la sentenza, prima del crack Siri e soci hanno svuotato l’azienda trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale americano. Secondo il racconto della vicenda Mediaitalia, società che produceva contenuti editoriali per media e aziende (editava anche la rivista della Air One di Carlo Toto), aveva debiti per un milione di euro quando Siri e gli altri soci hanno trasferito il suo patrimonio alla Mafea Comunication, gratuitamente.

Meno di un anno dopo Siri decide di chiudere la MediaItalia e nomina come liquidatrice Maria Nancy Marte Miniel, immigrata in Italia da Santo Domingo e oggi ufficialmente titolare di un negozio di parrucche e toupet a Perugia. «Una vera e propria testa di legno», la definiranno i giudici nella sentenza di condanna. Già, perché la donna non ha le competenze per gestire un’azienda né i mezzi per pagare i debiti.

E così a rimanere con il cerino in mano sono i creditori della MediaItalia: fornitori, banche e lo Stato italiano. Lo stesso che adesso Siri vuole rappresentare in qualità di uomo di governo. La sentenza del tribunale di Milano parla chiaro: l’ideologo della flat tax e i suoi soci, Fabrizio Milan e Andrea Iannuzzi, hanno provocato il fallimento della società con operazioni dolose, svuotando l’azienda e omettendo di pagare alle amministrazioni dello Stato 162 mila euro tra tasse e contributi previdenziali.

Altre due società italiane in cui il guru economico di Salvini ha avuto ruoli di spicco (socio di maggioranza e amministratore unico) hanno trasferito la sede legale nella piazza offshore a stelle e strisce. È successo negli stessi anni in cui la MediaItalia andava a picco. Le aziende in questione si chiamano Top Fly Edizioni e Metropolitan Coffee and Food.

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