Chi ha boicottato il decreto di Di Maio?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-07-15

L’Ispettore Di Maio tira pugni a caso cercando il colpevole della tabella che rivela che 8000 posti all’anno si perderanno con il Decreto Dignità. Intanto i responsabili della pubblicazione della tabella non si nascondono e spiegano

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Chi ha incastrato Roger Di Maio boicottando il Decreto Dignità? Venerdì una tabella della relazione tecnica che accompagna l’invio al Quirinale del provvedimento del ministro dello Sviluppo e del Lavoro rivelava che si prevedeva la perdita di ottomila posti di lavoro all’anno dall’ok alle norme.

Chi ha boicottato il decreto di Di Maio?

La questione è ovviamente finita sui giornali insieme alle altre previsioni tecniche che portavano a 22mila il totale di posti a rischio secondo la relazione tecnica. A questo punto Di Maio non ci ha visto più e ieri pomeriggio ha pubblicato un video su Facebook in cui ha cominciato a far volare accuse a casaccio: “Leggo sui giornali di stamattina che questo decreto farebbe perdere 80mila posti di lavoro. Ma non c’è scritto da nessuna parte”, premette Di Maio. “C’è un altro numero nella relazione che accompagna il decreto, il numero di 8mila“. “Ci tengo a dirvi che quel numero è apparso la notte prima che il decreto venisse inviato al Quirinale. Non è un numero messo dal governo”. “Quel numero per me non ha nessuna validità, perché nessuno ha spiegato davvero cosa significava”. “La verità è che questo decreto dignità ha contro lobby di tutti i tipi”. Infine: “Non è una cosa che ci hanno messo i miei ministeri, non è una relazione che hanno chiesto i miei ministeri e soprattutto la relazione non è stata chiesta dai ministri della repubblica”.

Il primo complotto denunciato da Di Maio ha una spiegazione semplice: 80mila è il numero di posti di lavoro che si perderebbero in dieci anni in base a quella relazione tecnica, ovvero 8000 l’anno. I conti tornano e non dovrebbe essere difficile farlo comprendere allo stesso ministro. Le accuse del ministro dello Sviluppo però suonavano come un attacco a Giovanni Tria e il ministero dell’Economia, sentitosi chiamato in causa, ha contrattaccato a stretto giro di posta: il dato degli 8000 posti era contenuto già nella relazione tecnica che accompagnava il decreto dignità.  Intanto i 5 Stelle fanno sapere all’ANSA che l’accusa è rivolta ai tecnici del MEF che sono stati nominati da Pier Carlo Padoan.

Chi ha incastrato Roger Di Maio?

Padoan risponde sdegnato negando ogni addebito, come è normale che sia. Intanto però il Corriere della Sera fa sapere che quella tabella è stata preparata dall’INPS di Tito Boeri e il ragionamento sotteso dietro la tabella viene spiegato:

Dice quel documento che l’effetto della stretta sui contratti a termine contenuta nel decreto dignità potrebbe portare alla perdita di 80 mila posti di lavoro nei prossimi dieci anni. E questo perché la durata massima dei contratti a termine viene ridotta da tre a due anni, il costo dei rinnovi viene aumentato. Ma la loro trasformazione in contratti stabili, secondo il documento preparato dall’Inps, non è per nulla scontata.

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Perché? Il punto è che, nello stesso decreto, viene aumentato anche il costo dei licenziamenti per chi ha un contratto stabile. Riassumendo. Il contratto a termine diventa meno conveniente per le imprese. Ma anche il contratto stabile diventa più oneroso. Ed è proprio questo doppio intervento, secondo la relazione tecnica, a far aumentare il rischio disoccupazione.

Ma c’è di più. Una prima relazione tecnica, priva della tabella “incriminata”, è stata inviata alla Ragioneria Generale dello Stato il 5 luglio scorso. Ma è stata giudicata e considerata troppo vaga nello stimare gli effetti del Decreto Dignità, come del resto testimonia anche lo stesso giudizio dato dai tecnici di Palazzo Chigi, che hanno contestato a più riprese l’indeterminatezza del provvedimento.

Il Ragioniere dello Stato Daniele Franco è l’obiettivo

A quel punto la RGS ha chiesto all’INPS un riepilogo dei numeri e l’istituto di previdenza ha inviato quella tabella che ha completato la Relazione Tecnica poi finita ad accompagnare il decreto nella bollinatura che Di Maio ha bollato come roba di burocrazia qualche giorno fa. Lo stesso testo dell’INPS è arrivato il 9 luglio e non l’11 come ipotizzato da Giggetto in più occasioni nel video di denuncia. Per questo l’obiettivo dell’intemerata di Di Maio, probabilmente, è proprio il Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco. Nominato da Enrico Letta nel 2013, è stato prorogato dal governo Gentiloni dopo il voto del 4 marzo per un anno. A lui si riferisce Di Maio quando parla di spoyl system chirurgico in arrivo. Repubblica così racconta le ore finali prima dell’ok al Decreto Dignità:

Lo staff di Di Maio è spiazzato. Capiscono – così sostengono – che la Ragioneria ha chiesto un supplemento di analisi all’Inps senza avvertire il ministro. Intuiscono il devastante impatto della tabella. Ma si convincono pure che nulla possono fare. Il decreto deve essere firmato da Mattarella il prima possibile.

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La relazione dei tecnici del Nucleo Air (Analisi Impatto Valutazione) del Dipartimento per gli Affari Giuridici della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Non c’è tempo per pretendere una spiegazione dall’Inps sui numeri spuntati in zona Cesarini, se si vuole una conversione in legge prima della pausa estiva, a cui puntano. Così lasciano correre. Il pasticcio però deflagra sui giornali. Di Maio va su tutte le furie. Non capisce per quale motivo sia Inps che Ragioneria l’abbiano tenuto all’oscuro.

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Vignetta di Socialisti gaudenti su Facebook

A questo punto è evidente che c’è un colpevole da trovare per una figuraccia fatta. Ecco perché la partita si è andata a incrociare con quella della direzione generale del Tesoro, sulla quale già sono volate nei giorni scorsi accuse a Tria di essere un infiltrato. I nomi in gioco sono tre: quello di Daniele Franco, appunto, quello di Roberto Garofoli (dello staff di Padoan) e la direzione generale del Tesoro, dove Tria, a dispetto dei consigli pentaleghisti su Antonio Guglielmi di Mediobanca, vorrebbe nominare Alessandro Rivera. Poi, quando al posto di gente che dice la verità saranno seduti gli yes-men, tutto cambierà. In peggio, naturalmente.

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