Coronavirus: perché si muore di più in Lombardia?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-03-21

Nel mirino anche lo smog e le sostanze tossiche, di cui ha parlato qualche giorno fa Mario Tozzi sulla Stampa mettendo in correlazione inquinamento e deforestazione con la diffusione del virus. Tra Lodi, Milano, Bergamo e Brescia c’è una delle più alte concentrazioni di industrie ma la correlazione tra COVID-19 e inquinamento non ha ancora evidenze scientifiche

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Mentre l’aumento dei contagi a Milano si fa sempre più terrorizzante e a Bergamo i dottori continuano a lanciare grida d’allarme, gli esperti si interrogano sul perché si muore di più di Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 in Lombardia. Se Barbara Palombelli dice che forse è perché lì sono più ligi al lavoro rispetto al Sud, ieri abbiamo visto anche la sovrapposizione tra mappa dei contagi e aziende aperte in zona.

Coronavirus: perché si muore di più in Lombardia?

Giampaolo Visetti oggi su Repubblica spiega che gli scienziati stanno accendendo un riflettore su Bergamo e su contagi, malati gravi e morti che fa raggiungere percentuali sconosciute a Wuhan: in Cina la letalità media è stata del 2%, meno della metà in Corea del Sud, in Lombardia muore il 10% dei malati contro il 2,6% del Veneto mentre a Bergamo il 64% dei positivi ha bisogno di essere ricoverato in ospedale: una percentuale doppia rispetto ancora al Veneto. Richard Peboy, capo squadra in Europa per le emergenze infettive dell’OMS, dice che ci può essere la risultanza di un insieme di fattori. Nel mirino anche lo smog e le sostanze tossiche, di cui ha parlato qualche giorno fa Mario Tozzi sulla Stampa mettendo in correlazione inquinamento e deforestazione con la diffusione del virus. Tra Lodi, Milano, Bergamo e Brescia c’è una delle più alte concentrazioni di industrie ma la correlazione tra COVID-19 e inquinamento non ha ancora evidenze scientifiche. Mentre concentrazioni simili a quelle lombarde si registrano anche in Cina, in Veneto e a Monaco di Baviera dove però i numeri sono più bassi.

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Coronavirus: la mappa dei contagi tra Milano e Bergamo (La Repubblica, 21 marzo 2020)

C’è anche chi punta il dito tra virus e patologie favorite dallo smog come l’ipertensione, le difficoltà respiratorie e il diabete, che sono quasi sempre presenti nei decessi. Di qui la distinzione tra vittime “per” e vittime “con” il Coronavirus fatta anche ieri dalla Protezione Civile che però sembra più il frutto di un esercizio comunicativo con il fine di non allarmare la popolazione, visto che nessuno può avere la certezza che chi combatteva con altre patologie non sarebbe sopravvissuto senza COVID-19. Ilaria Capua osserva anche che Bergamo, Brescia, Cremona e Codogno in comune hanno che l’epidemia è partita dagli ospedali.

Le ipotesi sul contagio in Lombardia

La stessa cosa era successa con SARS 1, che aveva cominciato a circolare nel sistema di condizionamento di un hotel di Hong Kong, osserva ancora Capua, che aggiunge che magari il Coronavirus può essere entrato negli impianti di areazione vecchi che hanno accelerato e moltiplicato la sua circolazione. Poi c’è la questione sollevata dall’assessore al Welfare Giulio Gallera, ovvero la gran fetta di popolazione non mappata: anche le diagnosi non tempestive possono aver aiutato il contagio.

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Coronavirus: i numeri del 20 marzo (Corriere della Sera, 21 marzo 2020)

Poi c’è un fatto storico, ovvero la partita di Champions League Atalanta-Valencia. Di certo tutto inizia il 20 febbraio a Codogno con la scoperta della positività del 38enne maratoneta e manager Unilever. A poche ore di distanza, nella notte del 21 febbraio, nell’ospedale di Schiavonia muore Adriano Trevisan, un 78enne imprenditore edile in pensione ricoverato da un paio di settimane. Solo oggi, conclusa la quarantena dei familiari e ottenuto il via libera della Procura, l’anziano è stato sepolto. Una cerimonia, silenziosa, ristretta ai parenti più stretti, tra cui la figlia, ex sindaco della cittadina. Da oggi Vo’ – che ha condiviso con Codogno un lungo periodo di isolamento – è tornata a comparire nel conteggio dei casi positivi al Coronavirus, con l’individuazione di un nuovo contagio dopo alcuni giorni in cui il Covid-19 era rimasto fuori dalla porta del paese. Tutti gli abitanti, nei giorni dell’isolamento dal 24 febbraio all’8 marzo sorvegliato da un cordone sanitario presidiato dall’Esercito, si sono sottoposti per due volte al tampone. Lo scopo era quello di aiutare a realizzare uno studio epidemiologico sulle modalità in cui si diffonde il virus e sul ‘profilo’ dei malati.

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