«Qui a Bergamo siamo quasi tutti contagiati»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-21

Marco Rizzi, primario del reparto di Infettivologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, spiega che i morti per COVID sono molti di più di quelli che sappiamo

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Giovanna Trinchella sul Fatto Quotidiano oggi parla con Marco Rizzi, primario del reparto di Infettivologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in cui lavora del 1987. Il dottore spiega che in città e in tutta la Lombardia “chi non è malato e non è morto, è contagiato: i dati ufficiali sono solo la punta dell’iceberg”.

Cosa intende professore?
Che la maggior parte delle persone nella nostra zona è contagiata: il serbatoio di persone infettabili è finito. Non abbiamo screening di casi sommersi, ma sappiamo che molti muoiono in casa e nelle Residenze sanitarie assistenziali. Poi ci sono gli altri morti: le emergenze e le urgenze prima venivano gestite in pochi minuti, adesso i tempi sono molto più lunghi. Ci capita tutti i giorni di avere persone che dicono di aver atteso tanto e ci capita dicano che hanno qualcuno in casa che sta male e poi ci ritelefonano per dire: è morto. La tempestività non è la stessa di due mesi fa. Gli ospedali sono correlati al Covid, la disponibilità e l’attenzione alle cure a tutti gli altri si cerca di assicurarla, ma non è tutto come un mese fa. Questo è inutile nasconderlo. Ci saranno due tipologie di morti: quelli per coronavirus e quelli per altre patologie perché non sono stati curati con la tempestività e qualità che in tempi normali si assicurano.

Quindi i morti per Covid sono molti di più di quello che sappiamo…
Molte persone non ricevono la diagnosi, non fanno l’esame virologico. Il tampone si fa alle persone che arrivano in ospedale con una condizione clinica di gravità tale da meritare il ricovero. Ma la persona che sta a casa con la febbre, con qualche sintomo respiratorio, gli si consiglia di non uscire e fare terapia sintomatica e sentendo il medico di base. Tutta quella parte lì di pazienti non la troviamo nei numeri che circolano.

ospedale giovanni xxiii bergamo

Come si è arrivati a tutto questo?
Il virus è circolato nelle settimane scorse, prima delle misure più restrittive. Abbiamo avuto un problema all’ospedale di Alzano: pazienti e operatori contagiati e poi la comunità di Nembro. Ci sono stati giorni, forse settimane in cui gli infetti sono stati a contatto con altri pazienti e personale sanitario. Va detto che succedeva in giorni in cui il sospetto coronavirus era associato, secondo le linee guida, alla Cina. Ad Alzano quel dato non c’era ancora per cui chi ha avuto in cura quei pazienti solo dopo ha pensato al coronavirus. Quando si è chiarito era tardi, certo c’era il campanello d’allarme di Codogno, ma tutti col senno di poi potremmo dire che bisognava fare la zona rossa. Misure più precoci non ci avrebbero fatto arrivare a questo punto.

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