Attualità
Virginia Raggi voleva portare a Salvini lo sgombero del Camping River, ma…
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-07-24
Previsto per oggi lo sgombero del Camping River in vista dell’incontro di domani tra la sindaca e il ministro dell’Interno. Ma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rovina la festa a Lega e M5S
Era tutto pronto. Virginia Raggi doveva incontrare domani Matteo Salvini e portare con sé lo scalpo del Camping River, plastica dimostrazione del fallimento del piano Rom della Giunta Raggi ma anche ghiotta occasione di propaganda per uno sgombero più volte annunciato e che oggi doveva essere eseguito. E invece la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha sospeso lo sgombero del campo nomadi in via di chiusura a Roma, fino al 27 luglio chiedendo alle istituzioni di indicare le soluzioni alloggiative alternative al campo.
Virginia Raggi voleva portare a Salvini lo scalpo del Camping River, ma…
La decisione della Corte è giunta in seguito al ricorso sollevato da 3 abitanti del “campo”, supportati dall’Associazione 21 luglio. La Corte «ha deciso, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento del procedimento dinanzi ad essa, di indicare al governo italiano, a norma dell’articolo 39, di sospendere lo sgombero previsto fino al venerdì 27 luglio 2018» e, nell’attesa, ha chiesto al governo italiano di indicare nelle prossime ore le misure alloggiative previste per i richiedenti, la data prevista per lo sgombero esecutivo e qualsiasi sviluppo significativo dello sgombero di Camping River.
Il Comune di Roma voleva sgomberare in base all’ordinanza sindacale numero 122 del 13 luglio 2018, che è l’unica non pubblicata sul sito dell’amministrazione Raggi. Il Campidoglio fa sapere all’ANSA di star producendo tutta la documentazione “in cui si certificano le numerose e reiterate offerte alloggiative, di inclusione abitativa e lavorativa, fatte a tutti gli abitanti”. Il che è una storia già nota: l’amministrazione ha previsto un contributo per chi volesse affittare la propria casa a una delle famiglie che uscivano dal Camping River, ma nessuno ha voluto accettarli come inquilini, anche perché il contributo durava per sei mesi e nessuno ha voluto stipulare un contratto.
La chiusura di giugno 2017
La Raggi aveva annunciato nel giugno dell’anno scorso la “chiusura” del Camping River come primo atto del suo piano ROM. Il campo – che sorge su un terreno di proprietà privata – è stato “chiuso” con i Rom dentro. Da allora il Comune ha provato in ogni modo a far uscire i residenti, sempre senza successo. Sono state chiuse le utenze dell’acqua e della luce. Sono stati sgomberati i moduli abitativi di proprietà del Comune (ma non tutte le casette sono di Roma Capitale) e sono stati offerti incentivi per il rimpatrio volontario. Tutti interventi che dimostrano come per il M5S il “problema” dei Rom fosse circoscritto all’area del campo. L’Amministrazione non ha mai messo in campo iniziative volte a favorire una reale inclusione sociale delle famiglie che abitano al River. Tutto si è sempre concluso con un nulla di fatto, e non tanto per la volontà dei Rom di rimanere lì, quanto per l’incapacità da parte del Comune di offrire un’alternativa concreta.
L’ordinanza firmata da Virginia Raggi nei giorni scorsi intimava di lasciare la struttura a causa del «progressivo aggravarsi delle condizioni igienico sanitarie dell’insediamento». Condizioni che si sono aggravate perché non c’è nessuno ad occuparsi della manutenzione. Il provvedimento prendeva atto che da parte della proprietà del terreno non c’è stata alcuna azione per chiedere l’allontanamento degli “occupanti”. Presenza che è stata “tollerata” dal proprietario il quale non ha assunto nessuna «iniziativa civilistica per denunciare l’abusiva occupazione dell’immobile». Quindi, dopo aver lasciato lentamente aggravarsi la situazione il Comune aveva scoperto che alla luce dei rapporti dell’Arpa e dell’Asl Rm 1, occorreva «assumere urgenti e straordinarie misure per la tutela della salute pubblica degli occupanti e dei cittadini che vivono nelle zone circostanti» anche per «evitare il rischio ambientale derivante dal malfunzionamento degli scarichi dei reflui che provoca l’inquinamento del fiume Tevere».