L’Italia ha violato i trattati internazionali respingendo la nave Aquarius?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-06-12

La Spagna vuole denunciare l’Italia per la violazione dei trattati internazionali. In procura a Roma i Verdi hanno presentato un esposto contro Salvini e la sua decisione di “chiudere i porti” alle navi delle Ong. Sotto accusa la decisione del nostro Paese di non indicare il place of safety per lo sbarco. E leggendo le norme internazionali sulla SAR scopriamo che…

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Forse l’Italia non avrà chiuso i porti, come sostiene il ministro delle Infrastrutture Toninelli, ma con il divieto di approdo imposto alla nave Aquarius della Ong SOS Mediterranee rischia di incorrere in responsabilità penali internazionali. A sostenerlo è la neo ministra della Giustizia spagnola, Dolores Delgado che parlando dell’arrivo dell’Aquarius a Valencia ha aggiunto che l’accoglienza “non è una questione di buonismo o generosità ma di diritto umanitario”.

Perché l’Italia ha sbagliato a non far approdare la nave Aquarius

La Delgado non è l’unica a sostenere questa tesi. Ad esempio Carlo Bonini su Repubblica oggi spiega che la decisione di impedire alla Aquarius di attraccare in un porto italiano effettuata ieri dal governo Lega-M5S è stata un atto illegale in aperta violazione della “Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo” siglata ad Amburgo il 27 aprile del 1979 e ratificata dal nostro Paese con la legge 147 del 1989. In base alla Convenzione il porto appropriato per lo sbarco delle persone tratte in salvo – anche dalla Guardia Costiera italiana – durante diverse operazioni di soccorso avrebbe dovuto essere quello inizialmente indicato dal MRCCC di Roma; il centro di coordinamento dei soccorsi nella zona SAR che ricade sotto la competenza italiana.

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La situazione quindi è doppiamente a sfavore dell’Italia. In primo luogo perché è stato il nostro Paese a coordinare le operazioni di search and rescue in quella che dovrebbe essere l’area SAR libica ma che è da anni “commissariata” dalla nostra guardia costiera a causa dell’incapacità della Libia di garantire il coordinamento dei soccorsi. Fino ad oggi ha sempre funzionato così, tant’è che la nave Diciotti della Guardia Costiera che sta per arrivare a Catania con quasi 1.000 persone a bordo ha partecipato ad operazioni di salvataggio al largo della Libia. A scanso di equivoci è bene precisare che l’area SAR non coincide con le acque territoriali (né libiche, né maltesi o italiane) ma “copre” le acque internazionali. Fino a domenica nessuno ha mai messo in dubbio che il porto appropriato per gli sbarchi delle persone tratte in salvo fosse in Italia (e non a Malta, in Libia o in Tunisia).

Quale è davvero il problema, il rapporto tra attività SAR e Regolamento di Dublino

Come è scritto in questa relazione pubblicata a cura del Ministero dei Trasporti dal Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Shenghen «il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi, non determina tuttavia la conclusione delle operazioni S.A.R., perché le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro». C’è un motivo ben preciso (e un precedente drammatico) che ha portato nel 2004 ad emendare le convenzioni SOLAS e SAR stabilendo l’obbligo, per lo Stato cui appartiene lo MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento (nel nostro caso l’IRMCC di Roma) o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse.

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Questo è anche il motivo per cui Malta, che al contrario dell’Italia non ha mai ratificato quegli emendamenti, sostiene di essere nel giusto quando ha detto all’Italia che in base al diritto internazionale la Aquarius era obbligata a sbarcare in Sicilia. Nella sua audizione alla Camera il Contrammiraglio Nicola Carlone sottolinea i problemi derivanti dalla sovrapposizione delle norme del diritto internazionale e del Regolamento di Dublino che crea un problema per il paese coordinatore dell’attività SAR che in base alla versione attuale del regolamento è obbligato anche a farsi carico delle procedure di richiesta d’asilo. La legge sulle operazioni SAR prevede infatti che le procedure di identificazione debbano essere «affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco nel luogo sicuro di sbarco (POS) e non devono comunque causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse od alla liberazione della nave soccorritrice dall’onere assunto». Quindi riassumendo: chi coordina i soccorsi ha l’obbligo di individuare un place of safety sul proprio territorio al fine di garantire l’integrità dei servizi SAR. Ma nel caso dell’Italia (è il Ministero dell’Interno a dover individuare il POS) e dei flussi migratori nel Mediterraneo la situazione è complicata dal fatto che una volta sbarcati i migranti diventano un ulteriore obbligo (in merito alle domande d’asilo politico).

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Certo, il POS potrebbe essere anche in un altro paese ma ci devono essere degli accordi specifici che prevedano la possibilità per l’MRCC di indicare un POS localizzato su un altro stato. Scrive Carlone: « in caso di rifiuto, da parte delle Autorità di un altro Paese, a concedere l’autorizzazione allo sbarco in un porto situato nel proprio territorio, lo Stato cui appartiene lo MRCC che coordina le operazioni ha l’obbligo di individuare il POS sul suo territorio». Ecco perché la Aquarius è diventata “un caso” ed ecco spiegato, di nuovo, perché Toninelli, Salvini e Conte hanno torto.

L’esposto dei Verdi contro la chiusura dei porti di Salvini

Anche gli assetti navali che operano all’interno delle operazioni condotte da Frontex (prima Triton e ora Themis) continuano a portare i migranti in Italia. A complicare le cose nel caso di Aquarius c’è il fatto che i soccorsi coordinati dall’Italia sono stati effettuati da unità navali italiane. Non è stata SOS Mediterranee a salvare tutti i 629 migranti, una parte è stata salvata – come ha ricordato anche Toninelli – dalla Guardia Costiera. Se da un lato è giusto chiedere “più Europa” dall’altro non c’è dubbio che ci sia un modo giusto e uno sbagliato per farlo. Quello dell’Italia assomiglia ad una versione mascherata di respingimento in mare, cosa che però è vietata proprio dalla Convenzione di Ginevra (che sancisce il principio di non refoulement).

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Il rappresentante dei Verdi Gianfranco Mascia oggi ha presentato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma nei confronti del Ministro degli Interni Matteo Salvini «sulla vicenda della chiusura dei porti e della conferenza stampa nella sede della Lega». In una nota Mascia spiega che «Nel primo punto dell’esposto chiedo alla procura se il rifiuto di autorizzare l’attracco nei porti italiani della nave Aquarius sia in violazione della “Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo” siglata ad Amburgo il 27 aprile del 1979 e ratificata dal nostro Paese con la legge 147 del 1989. Una Convenzione che fissa l’obbligo di soccorso in mare a chi sia in pericolo di vita e quello del suo trasferimento in un luogo sicuro».

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Ieri Salvini cantava vittoria, convinto di aver segnato un punto, magari creando un precedente da poter utilizzate in futuro. Ma in realtà la prova di forza contro Malta potrebbe ritorcersi contro il governo italiano. Non bisogna dimenticare che l’Italia non ha mostrato i muscoli agli altri partner europei – egualmente responsabili della situazione – ma solo contro La Valletta in base ad argomentazioni pretenziose e senza tener conto di come fino ad oggi si sono conclusi gli eventi di soccorso iniziati all’interno dell’area SAR libica.

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Dal contratto di governo Lega – M5S

Tanto più che dopo aver urlato ai quattro venti che l’Italia voleva riprendersi la sua sovranità il governo ora chiede un intervento dell’Europa per la sorveglianza dei confini e la gestione dei flussi migratori. Due materie che in base al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (articoli 77 e seguenti) sono di competenza esclusiva dei singoli stati membri. Inutile ricordare come Salvini e Conte si siano opposti alla modifica del regolamento di Dublino che sanciva la fine del principio del “paese di primo approdo” e stabiliva la creazione di quote automatiche per la ripartizione dei richiedenti asilo. Esattamente quello che era scritto nel contratto, ma evidentemente il piano è di presentare la modifica come un “successo italiano” e non una decisione subita dal nostro Paese.

Leggi sull’argomento: Diciotti: le 937 persone in arrivo a Catania e la linea equilibrista di Salvini

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