Il sangue di Lecce e lo spettro del movente

di Antonella Grippo

Pubblicato il 2020-10-03

L’invidia, pur vivendo in clandestinità ed abitando gli anfratti del sottosuolo, è un demone di rango. Non ha grandi capacità di affabulazione né si lascia preludere da minacciose sonorità. Di rado, intrattiene consuetudini con le parole, anzi, le sgozza perché non tramino contro il buio silente in cui il mostro dimora. Si muove, guardinga, in …

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L’invidia, pur vivendo in clandestinità ed abitando gli anfratti del sottosuolo, è un demone di rango. Non ha grandi capacità di affabulazione né si lascia preludere da minacciose sonorità. Di rado, intrattiene consuetudini con le parole, anzi, le sgozza perché non tramino contro il buio silente in cui il mostro dimora. Si muove, guardinga, in cattività, dentro mimiche e pallori indizianti. Del resto, è, in assoluto, il sentimento meno scenico. Tra i vizi capitali, quello più perfido e più incline alla mimesi.

eleonora manta daniele de santis foto killer in fuga 1

Nessuno, prima di Charles Dickens in David Copperfield, seppe braccarne il tratto: Uriah Heep, infatti, ne è prova tangibile. Uriah, la serpe per antonomasia, lungo la cui anima lacerata e scoscesa vaga la larva del rancore. Heep, il “servitore” untuoso, che affida unghie e polpastrelli alle sue stesse fauci per farseli maciullare, è la potentissima messa in scena letteraria della gestualità allusiva dell’invidioso. Una metafora gigantesca che sfratta ogni saccenza degli esperti televisivi.

eleonora manta daniele de santis

Esistono, infatti, complessità che si rifiutano di alloggiare presso gli schemini dei soliti ” tecnici dell’anima”, in assetto permanente in tutte le trasmissioni dedicate. La psicoanalisi e consorelle al seguito, spesso, tentano di carcerare la cronaca in polverosi, rassicuranti “casi di scuola”. Per fortuna, i fatti si ribellano, non si lasciano imbrigliare. Sono renitenti alla prigionìa delle etichette. Al cappio degli psicologismi a buon mercato. I fatti di Lecce lo sono a maggior ragione. Inaspettatamente, l’eclatanza sanguinaria dell’omicidio di Eleonora Manta e di Daniele De Santis, i loro corpi straziati e, perciò, decifrabilissimi, si contrappongono allo spettro fuligginoso ed esangue del movente. Di un movente senza corpo, senza voce, incapace di dar cenno di sè prima della mattanza. Antonio De Marco, il killer, era illeggibile dallo sguardo della sua gente perché insondabile era il fantasma d’invidia che gli abitava le viscere. In modo così invadente da nidificare persino nei suoi occhi, costretti a spiare ogni palpito di un innammoramento irrevocabile. Tra due ragazzi implicati dentro un sentimento che intrecciava carezze ineludibili. E così, il vizio di soffrire a causa della gioia di altri, si fa sempre più lancinante, ma non elargisce presagi di furore fino al suo definitivo compiersi. L’invidia è senza prologo: l’unico suo tempo d’azione sta nella danza ossessa di un coltello da caccia.

Antonio De Marco Lecce omicidio

” Si tratta di un protagonismo mancato che d’improvviso dirompe”- dicono i sapienti in tv. E incalzano “- Strano che la famiglia, gli amici, le stesse vittime non si siano accorti …”

Non è affatto strano, stanti i fondali in cui giacciono i reperti più indicibili della pulsione assassina. D’altro canto, basterebbe evocare qualche traccia di uno dei capolavori di Dostoevskij (L’idiota) per saperne di più sulle contusioni d’anima del cosiddetto “uomo ordinario”, in cerca di riscatto attraverso le dune protettive del livore. Spesso lontanissime dal cielo. A meno che non sia quello, uggioso e gonfio, della Londra di Dickens, estensione perfetta del cuore spettrale di Heep. In dissolvenza lungo lo schermo di un raggelante autunno nel sud italiano.

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