Andrea Dini: l’indagine sul cognato di Fontana per i camici di Regione Lombardia (e l’email con i prezzi)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-07-09

L’indagine del PM Romanelli, aveva preso origine da un servizio di Report che evidenziava presunte anomalie in una una donazione alla Regione, tramite Aria, di camici e dispositivi di protezione individuale per un valore di 513mila euro da parte della società Dama, riconducibile alla moglie e al cognato di Fontana. I pm hanno sentito come testimoni l’assessore Raffaele Cattaneo e Francesco Ferri presidente di Aria. Dini è accusato di turbativa d’asta così come un secondo indagato, Filippo Bongiovanni, dg della centrale acquisti della Regione (Aria)

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Attilio Fontana aveva detto che nella storia dei camici di Regione Lombardia e di DAMA S.P.A., la società controllata da sua moglie e dal cognato, era tutto chiaro e limpido e aveva annunciato una querela a Report che l’aveva rivelata. Ieri Andrea Dini, titolare della società Dama srl e cognato del governatore Attilio Fontana, e Filippo Bongiovanni, dg della società Aria, la centrale di acquisti regionale, sono stati indagati dalla Procura di Milano per il reato di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente nell’inchiesta con al centro la fornitura di camici e altro materiale per 513 mila euro durante l’emergenza COVID-19.

Andrea Dini: l’indagine sul cognato di Fontana per la storia dei camici di Regione Lombardia

L’agenzia di stampa ANSA fa sapere che i pm hanno sentito come testimoni l’assessore Raffaele Cattaneo e Francesco Ferri presidente di Aria. Dini è accusato di turbativa d’asta così come un secondo indagato, Filippo Bongiovanni, dg della centrale acquisti della Regione (Aria). Ieri la Guardia di Finanza si è recata proprio nella sede di Aria a recuperare documentazione utile all’inchiesta. L’indagine, avviata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, aveva preso origine da un approfondimento di Report che evidenziava presunte anomalie in una una donazione alla Regione, tramite Aria, di camici e dispositivi di protezione individuale per un valore di 513mila euro da parte della società Dama, riconducibile alla moglie e al cognato di Fontana, nel pieno dell’emergenza sanitaria. Fontana aveva difeso l’operazione definendola “una fornitura erogata dall’azienda a titolo gratuito”. In più, ricorderete che Dini aveva sostenuto che a fare il pasticcio erano stati i suoi collaboratori, che quella fin dall’inizio doveva essere una donazione e che lui, assente in azienda all’epoca, appena tornato aveva messo tutto a posto. Oggi il Fatto Quotidiano pubblica una mail firmata proprio da Andrea Dini in cui l’amministratore delegato di DAMA invia un’offerta economica con tanto di “prezzi”: nell ’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la  seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro

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E mentre nel frattempo è emerso che DAMA non ha mai completato la fornitura-regalo, non avendo mai consegnato 25mila camici dei 75mila promessi, come abbiamo raccontato, la storia comincia quando Regione Lombardia chiede ad ARIA, azienda regionale che si occupa di acquisti, di comprare dispositivi di protezione individuale. Nel registro online degli acquisti ne manca uno, ovvero proprio quello di DAMA che attraverso una procedura negoziata (niente gara, aggiudicazione diretta), ha portato a casa una fornitura di camici per 513mila euro. L’affidamento diretto di denaro pubblico viene firmato da Aria, la centrale acquisiti della Regione, creata circa un anno fa su input dell’assessore al Bilancio, il leghista Davide Caparini. Negli elenchi dei fornitori presenti sul sito di Aria con molta difficoltà si trova la ditta Dama Spa.

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Dama SPA è la ditta della famiglia Dini, che produce il marchio Paul & Shark: Roberta e Andrea Dini sono proprietari. La fornitura non compare nel registro ma in una pagina interna c’è un elenco di affidamenti diretti, anche se non si specifica cosa è stato venduto e a che prezzo. Compare il nome, ma non si comprende bene cosa si venda e a che prezzo. La Dama, però, è una società nota che detiene il famoso marchio Paul&Shark. Il suo ceo è Andrea Dini, fratello di Roberta, moglie di Attilio Fontana. La first lady regionale è poi parte attiva dell’impresa in quanto vi partecipa come socia al 10% attraverso la Divadue Srl. La Diva Spa, invece, detiene il 90% di Dama Spa. La Diva Spa inoltre ha come socio al 90% una fiduciaria del Credit Suisse che amministra un trust denominato “Trust Diva”.

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Per questo Mottola va a chiedere a Dini dell’appalto, ma lui parla subito di una donazione: “Sono un’azienda lombarda, devo fare il mio dovere”. E Dini per una prima volta si eclissa dal citofono di casa sua, dove stava rispondendo. La fornitura è di 75mila camici e 7mila tra cappellini e calzari per 513mila euro. Si specifica che il pagamento avverrà tramite bonifico a sessanta giorni dalla data di fatturazione. Il quadro così ricostruito viene presentato dall’inviato ad Andrea Dini, che al citofono risponde: “Non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti”. Davanti all’ordine di forniture, Dini mette giù. Poi è costretto ad ammettere: “Effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”.

Ma quando Mottola parla della documentazione, la sua versione cambia rispetto a quella iniziale che parlava di una semplice donazione: “Chi se ne è occupato ha male interpretato la cosa, io ho detto ai miei che doveva essere una donazione, abbiamo fatto note di credito e non avremo mai un euro da Area. Io non ero in azienda. I miei l’hanno fatto a mia insaputa, appena l’ho saputo…”.

Le note di credito arrivano però tra 22 e 28 maggio, quando Report comincia a occuparsi della storia, e ammontano a 359mila euro, ne mancano quindi 153mila euro. La volontà di donare però si è manifestata solo in un secondo momento: solo il 20 maggio arriva la decisione di donare tutto, prima aveva anche emesso fattura per ricevere i soldi. La restituzione coincide con le prime domande mandate da Report sulla vicenda.

Perché la procura indaga per turbativa d’asta

Nei giorni scorsi Repubblica Milano ha spiegato che la versione dell’errore non convince la procura di Milano:

Per Andrea Dini, si è trattato solo di un errore. «È una donazione, effettivamente i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, hanno male interpretato la cosa, ma poi dopo io sono tornato, me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato tutto, perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione — aveva spiegato Dini in tv — . Le carte ad Aria ci sono tutte. Abbiamo fatto note di credito, abbiamo fatto tutto. Mai preso un euro e non ne avremo mai neanche uno». Ma la versione di un errore, di una donazione computata in vendita per la disattenzione di un dipendente, non convince la procura.

Tra i tanti fascicoli su gare e commesse nelle settimane dell’emergenza coronavirus — come anche quello sull’affidamento diretto da parte del sistema sanitario lombardo a Diasorin per i test sierologici — anche per Dama era stato aperto un fascicolo senza ipotesi di reato. Poi per i camici è arrivato in procura anche un esposto dell’associazione dei consumatori. Ora la svolta con un’indagine per turbativa d’asta. Nelle ore successive alla trasmissione, il governatore Attilio Fontana aveva continuato a difendere la scelta del Pirellone. E respinto ogni accusa di conflitto di interessi. «Nessun equivoco — aveva detto — . Sono stati comprati tutti i camici da tutti quelli che li producevano perché noi ne avevamo bisogno».

Leggi anche: Quello che non torna nella “donazione” dei camici del cognato di Fontana alla Regione Lombardia

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