Vita da clochard

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-11-22

Prendo il treno per Roma. Business class, così posso lavorare. Si siede di fronte a me una persona con abiti un po’ dismessi (ma non troppo). Mi chiede due euro per mangiare. E’ quindi un barbone. Chissà perché vuol andare a Roma..Non ha bagagli con sé. Passa il controllore, ma non lo denuncio. Ormai il …

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Prendo il treno per Roma. Business class, così posso lavorare. Si siede di fronte a me una persona con abiti un po’ dismessi (ma non troppo). Mi chiede due euro per mangiare. E’ quindi un barbone. Chissà perché vuol andare a Roma..Non ha bagagli con sé. Passa il controllore, ma non lo denuncio. Ormai il treno è partito,il barbone riuscirà ad arrivare a Roma. Mi chiedo chi sia. Ha difficoltà a parlare, forse si è bruciato il cervello con le droghe? Forse è un handicappato mentale curato da una vecchia madre? Questo spiegherebbe perché è vestito tutto sommato decentemente. Solo le scarpe sono di bassissima qualità ed emettono una puzza terribile. Passa il carrello delle bevande. Le hostess capiscono la situazione al volo e gli danno una doppia razione di biscottini che mangia avidamente. Passa il controllore. Lui usa la patente per identificarsi. Quindi una volta era normale… Forse un marito che ha subito un divorzio devastante e non ha più soldi per mantenersi? Il controllore porta via il barbone, non saprò mai chi era… Prima osservazione quell’uomo è abbandonato a sé stesso. Mangerà probabilmente alla mensa della Caritas,probabilmente dormirà sui marciapiedi della Stazione. Lo Stato (e la Caritas) gli danno solo il sufficiente per mantenersi giorno dopo giorno. Che senso ha? Forse ha senso solo per tacitare la nostra coscienza e per mantenere in piedi queste strutture di beneficenza. Ma non c’è un piano. Non c’è senso, non c’è nulla… Lo so che mancano i soldi e che la coperta è corta ma così non si aiuta nessuno e tutto perde senso.

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Riassumendo: non aiutiamo i clochard, e gli diamo solamente il necessario per sopravvivere. Non aiutiamo i migranti che vengono in Italia. Anche a loro diamo soltanto il sufficiente per sopravvivere . Non aiutiamo lo strato più povero della società (i così detti penultimi), non gli diamo aiuto per mandare i loro figli all’Università, non hanno chances di sollevarsi dalla miseria. Non aiutiamo i nostri giovani, quelli più istruiti. Per avere uno stipendio adeguato devono trasferirsi all’estero. Così sviluppiamo rancore e odio fra i ceti più deboli. E’ una bruttissima guerra fra poveri. Ciascun ceto ha paura che gli altri prendano i soldi che spetterebbero a lui e nessun ceto riceve abbastanza. Forse sarebbe opportuno che si facesse una scelta. Facendo così non si aiuta nessuno, si fa solo sopravvivere (male) di giorno in giorno, senza una prospettiva, una larga fascia di popolazione italiana. Seconda osservazione: la vita del clochard non ha senso per noi. Vaga senza una meta, non ha certezze ed obiettivi. Ma riflettendo un attimo, anche la nostra vita assomiglia alla sua. Esattamente come il clochard, siamo sbattuti da un posto all’altro senza una vera meta. Siamo talmente travolti dal lavoro e dalle preoccupazioni da non avere tempo da dedicare a noi stessi e ai nostri cari. Facciamo tantissime cose e tantissime scelte per forza dell’abitudine e non perché lo vogliamo. Esattamente come il clochard non ci rendiamo conto della vita insoddisfacente che viviamo… E non abbiamo una Caritas che ci prepara il cibo. Delle volte mi sento come i soldati giapponesi persi nella jungla che hanno continuato a combattere una guerra terminata decenni prima. Per fortuna che non abbiamo il tempo per fermarci, per scendere da questa giostra impazzita e guardare con occhio imparziale la vita che conduciamo. Lo shabbat ebraico, la domenica cristiana avrebbero dovuto permetterci questo, ma se lo facessimo sarebbe devastante: vedremmo come ci siamo conciati. Forse, proprio per evitare di fare questo, lavoriamo (pure male) anche durante le festività: per non fermarci a riflettere.

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