Un giorno diverso dal solito

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-11-04

Oggi compio 60 anni. Non è che oggi io sia molto diverso da ieri o da quello che sarò domani. Ma la cifra tonda mi spinge a riflessioni sui massimi sistemi. Prima osservazione: questa è la prima generazione in cui avere 60 anni non significa essere alla fine del periodo lavorativo. Come i miei genitori …

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Oggi compio 60 anni. Non è che oggi io sia molto diverso da ieri o da quello che sarò domani. Ma la cifra tonda mi spinge a riflessioni sui massimi sistemi. Prima osservazione: questa è la prima generazione in cui avere 60 anni non significa essere alla fine del periodo lavorativo. Come i miei genitori e come tutti i miei antenati, uno a sessanta anni ha dietro alle spalle una lunga esperienza lavorativa (e non solo) che permette di fare un bilancio (quasi definitivo) di quanto fatto/ottenuto nella vita, ma a differenza di loro, ho ancora davanti a me un decennio di lavoro. Non sono ancora finito, non sono ancora da rottamare nonostante il M5S abbia proposto di togliere il voto agli ultra 65-enni (forse perché considera tutti noi vecchi irrimediabilmente rinco?).

Incominciamo con il bilancio della mia esistenza. Sicuramente se mi devo giudicare devo dire che nella mia vita sono stato molto egoista. Ho scelto un lavoro che mi piaceva quello del Professore. Questo lavoro mi ha dato tutta la libertà che desideravo, mi ha fatto visitare il mondo, mi ha permesso di seguire “vertute e canoscenza”, mi ha permesso di lavorare con giovani pieni di entusiasmo e di motivazioni. Ho pagato tutti questi benefits con uno stipendio più basso di quello che avrei potuto avere se avessi scelto un lavoro più gratificante da un punto di vista economico e meno gratificante da un punto di vista personale. Quindi la scelta è stata quella più soddisfacente per me, ma non ho dato (sia dal punto di vista economico che dal punto di vista del tempo dedicato) quello che avrei potuto dare ai miei cari. I miei genitori, mia moglie e mia figlia sono stati molto pazienti a sopportarmi. Io, probabilmente, non avrei avuto tutta quella pazienza.

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All’inizio della carriera ho fatto il ricercatore. Poi ho capito che, almeno in Matematica, fare ricerca a livello comptitivo richiede essere giovani. Pensare a nuovi teoremi è come fare uno sprint di 100 metri. A venti anni puoi correre i 100 metri in poco più di 10 secondi, a 60 probabilmente non ce la fai a correrli in meno di 15 secondi. Mi ricordo che Giovanni Prodi, grande matematico e fratello dell’ex-premier Romano, allora sessantenne, diceva a noi studenti che tutto il tempo che sottraeva alla ricerca (per fare altro) era un guadagno sia per lui che per la società. A sessantanni compiuti concordo pienamente. Peccato che non la pensino così quelli del Ministero che vogliono misurare la nostra produttività solo sulla base dei lavori scientifici scritti. Già a 40 anni ho iniziato a fare altro pur non abbandonando del tutto la ricerca. Ho iniziato a fare il valutatore (sia a livello nazionale che internazionale) di progetti di varia natura (pura, applicata ed industriale). Ho combattuto per dare spazio anche a settori di ricerca minoritari in quanto credo che la biodiversità nella ricerca sia fondamentale (temo le grandi scuole, in quanto spesso producono cloni di cloni). Mi sono trovato coinvolto, sempre più da protagonista, in progetti sempre più applicati. Insomma ho cercato di fare attività in cui contasse soprattutto l’esperienza accumulata piuttosto che la freschezza mentale.

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Questa mia conversione alle applicazioni l’ho applicata anche nella didattica. Ho quasi sempre rivolto la mia attenzione a studenti bravi e medio-bravi. Gli studenti geniali non hanno necessità di un grande impegno del relatore/professore: trovano da soli la loro strada. Analogamente, ma per opposti motivi, i ragazzi non motivati e che non hanno voglia, non meritano proprio che qualcuno perda tempo dietro di loro. Dove un Prof può trovare maggiore soddisfazione è proprio quando si lavora con ragazzi motivati ma che non sono “rankati” come bravissimi. Generalmente li rendo miei “adepti”: si devono convincere che se scelgono l’argomento giusto e se danno il massimo, possono sfondare. Devono capire che il “mondo dell’élite” non li vuole bene, li vuole perdenti. I consigli che ricevono sono fatti perché accettino con rassegnazione di rimanere al loro posto. Non devono ambire a posizioni riservate all’élite e alla loro prole. Gli insegno quindi a non stare a sentire chi si autodefinisce maestro di vita. Devono ragionare con la propria testa e devono cogliere l’occasione quando passa. Si vive una sola volta: non la si può gettare via per paura di agire . Meglio avere rimorsi che rimpianti. Se esiste un Dio, di sicuro preferisce chi ha vissuto (magari peccando) rispetto a chi, per non peccare, ha rinunciato a vivere. Meglio avere le mani sporche perché si è cercato di fare piuttosto che averle pulite solo perché si è avuto paura di sporcarle. Il Dio della Bibbia amò un Re peccatore come Re David perché era profondamente umano, nella sua anima c’erano abissi ma anche vette altissime che compensavano ampiamente gli abissi. Ecco, se uno vuole raggiungere le vette, deve mettere in conto anche le cadute in abissi..altrimenti non saremmo umani.. Insegno ai miei studenti che devono combattere per vincere senza cadere nella trappola nei luoghi comuni (e del comune sentire): spesso sono solo scuse per evitare di affrontare le vere sfide della vita. Certamente, una volta motivati e caricati, sarà anche mio compito cercare di individuare temi ed argomenti dove possano dare il loro meglio, ma, perché lo possano fare, è sicuramente prioritario che prima cambino mente ed atteggiamento.

Ma lasciamo il passato e pensiamo al futuro. Proprio qualche giorno fa, ho visto due Professori già in pensione da vari anni, vagare disorientati per il Dipartimento in cerca del tempo che fu. Devo evitare questo destino. E’ prioritario che in questi anni che mi separano dalla pensione, mi prepari per tempo a quando non lavorerò più. Devo trovare altri obiettivi e stimoli. Ho iniziato l’Università nel 1978 (41 anni fa) e ci dovrò stare almeno altri 11 anni (52 anni in totale!). Quando andrò in pensione non avrebbe senso continuare a vivere una esperienza lavorativa che mi ha coinvolto per più di mezzo secolo. Devo trovare altro da fare. Devo trovare altri obiettivi che mi diano “vita”. Erasmo da Rotterdam diceva che la vecchiaia (e forse perfino la stessa morte) è equivalente a non avere più scelte davanti. Quando uno avrà 70 anni, è quasi impossibile che abbia di fronte a sé scelte importanti da fare, ma è importante lo stesso che non giochi lo stesso gioco che ha giocato per troppi anni. Tutto sarebbe troppo scontato ed automatico. Anche se le forze incominciano ad abbandonarci, è opportuno “rischiare” cercando di fare qualcosa di nuovo.

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A 60 anni non si può non fare i conti con la Grande Mietitrice. Molte persone che ho conosciuto non esistono più. I miei genitori e i miei suoceri non ci sono più. Mi è capitato di essere stato vicino alla morte (non riuscivo più a tornare a riva in un mare diventato improvvisamente procelloso). Non ho avuto paura della mia morte e non credo che l’avrò in futuro. Ho molto più paura delle malattie e delle lunghe agonie.. Vivere è (anche) fatica e sofferenza, la morte significa essere sollevati da queste cose. Godere di un meritato riposo anche se eterno. La morte mi fa paura soprattutto in funzione degli altri. La mia figliola è ancora giovane, non ha ancora il suo futuro chiaramente delineato. Potrebbe avere bisogno di me. Per questo non posso e non devo morire adesso! Altra riflessione collegata a quella precedente è se ci sia qualcosa dopo la morte. Credo che le religioni tradizionali risentano, forse un po’ troppo, della necessità di imporre regole etiche e di buona alimentazione oltre che della loro funzione di dare “identità” unificatrice ad una popolazione. Pensare che un Dio ci giudichi e ci condanni all’inferno perché si è mangiato maiale, bevuto vino o mangiato carne di venerdì mi sembra profondamente blasfemo ed offensivo verso Dio. Sul fatto che esista una divinità sono relativamente ottimista. Io credo che le prove dell’esistenza di Dio, tanto cercate dai filosofi della scolastica, risiedano nei piccoli- grandi miracoli che circondano ogni momento della nostra esistenza e a cui, per forza di abitudine, non ci facciamo più caso. . Prendiamo, ad esempio, in considerazione il tempo e il miracolo della vita. Il tempo è misterioso.

Non c’è traccia del tempo a livello microscopico. Tutte le equazioni non solo sono reversibili ma anche la variabile tempo non compare proprio. Appena però si va verso strutture più complesse inizia ad esistere il tempo. Senza una direzione temporale non sarebbe possibile concepire la vita stessa. Come non pensare che ci sia un “Padrone” del Tempo che permette al temo di scorrere e a noi di vivere? Ancora più affascinante è la vita. Come si è formata? Perché abbiamo una coscienza? Perché, perfino il mio coniglio Zoroastro, ha una personalità ed una autocoscienza? Da dove nasce? Sulla Terra avremo almeno 5 Miliardi di Pc, forse almeno 100 miliardi di chips, tutti interconnessi, tutti molto più intelligenti di un singolo neurone eppure questo “organismo di silicio” non sta formando un’autocoscienza, non è e non si sente vivo. Cosa è dunque un organismo vivente? Da cosa prende origine?. Tutto il sistema informatico con internet, cloud, Intelligenza Artificiale, Motori di Ricerca non riesce minimamente ad uguagliare il cervello piccolo piccolo di un coniglietto come Zoro. L’essenza della vita ci sfugge, è ancora molto ma molto al di là della tecnologia attuale.. Com’è possibile? Ci deve essere il “Padrone” della vita…E questo “Padrone” è quello che dà senso a tutto e a tutti. Almeno, così mi illudo.. Ma ad un sessantenne almeno le illusioni devono essere concesse…

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