Truffa diamanti, così le banche li hanno rifilati alla clientela

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-02-20

I racconti dei clienti e dei dipendenti incoraggiati all’acquisto o a piazzarne il più possibile a causa dell’alto rendimento. Una storia che abbiamo sentito tante volte

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Durante le indagini sulla truffa dei diamanti la Guardia di Finanza milanese ha raccolto decine di testimonianze di investitori raggirati o indotti ad acquistare i preziosi grazie al contributo determinante dei consulenti finanziari o dei direttori delle filiali. Una storia che si ripete sempre uguale – e sempre con gli stessi protagonisti – da Cirio a Banca Etruria.

Le testimonianze degli investitori raggirati, individuati dalla Gdf milanese (circa un centinaio finora), sono riassunte negli atti dell’inchiesta della Procura di Milano. I clienti hanno spiegato che erano i dipendenti degli istituti bancari coinvolti a proporre loro “di acquistare i diamanti, fornendo una serie di informazione false”, chiariscono gli inquirenti, “e fuorvianti sulla natura e sulle caratteristiche dell’investimento”. E l’acquisto dei diamanti “veniva proposto e non solo segnalato, a volte in modo insistente, occupandosene il bancario in prima persona”, e “su precise direttive interne”, delle trattative che si svolgevano di solito nelle filiali. In alcuni casi, poi, è emerso che “sono stati i funzionari delle banche a contattare direttamente” i clienti per “indurli ad investire” nelle pietre preziose, anche spingendoli a disinvestire dagli investimenti che avevano già in corso e a comprare diamanti.

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Truffa dei diamanti, i sequestri (Il Sole 24 Ore, 20 febbraio 2019)

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I sequestri sono stati disposti ai danni della fallita Intermarket Diamond Business, della Diamond PrivateInvestment e di 5 istituti di credito che ne avevano favorito l’operatività : Banco Bpm, Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena. Nell’indagine figura tra gli indagati anche l’amministratore delegato di Banca Aletti, Maurizio Zancanaro, assieme a molti funzionari e direttori di filiali delle banche coinvolte nella presunta truffa che avrebbe riguardato in realtà “decine di migliaia di risparmiatori-clienti” delle banche. E le due società che vendevano i diamanti, Idb e Dpi, si legge ancora negli atti, si erano “di fatto spartite le banche”: Banco Bpm e Unicredit “collaboravano” con Idb, Intesa e Mps con Dpi. Le brochure che pubblicizzavano gli acquisti erano sparse all’interno “di migliaia di filiali bancarie”.

Un direttore di filiale del Banco Popolare (ora Banco Bpm) ha raccontato agli investigatori quanto fosse redditizia per gli istituti di credito la vendita ai clienti dei preziosi: “La filiale percepiva una commissione di circa il 15% del controvalore acquistato dal cliente. Questa forma di investimento è andata molto in quel periodo in quanto il rendimento delle altre forme di investimento era all’epoca piuttosto basso, aggirandosi circa sull’1-2%”. “Nella mia carriera ed esperienza bancaria – ha aggiunto il testimone, sentito nel maggio 2018 – non ho mai visto alcun prodotto che garantisse alla banca un rendimento del 15%“. Per gli inquirenti, infatti, come si legge negli atti, “è evidente come le banche abbiano ‘irrobustito’ i propri bilanci” grazie “alle commissioni incassate dalla vendita di diamanti”, “notevolmente superiori ai rendimenti garantiti dalla commercializzazione di altri prodotti finanziari in una fase difficile di congiuntura economica, che si aggiravano all’1-2%”.

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