Perché la linea dura di Travaglio sulla Sea Watch è la stessa di Salvini

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-28

Ieri ad Otto e Mezzo e oggi nel suo editoriale il direttore del Fatto Quotidiano ha cercato di raccontare la storia della comandante Carola Rackete che vuole “provocare” l’Italia per portare avanti un’azione di disturbo nei confronti del governo. Si tratta di una ricostruzione interessante, che però non regge alla prova dei fatti

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Qualche giorno fa Marco Travaglio definiva il suo giornale, il Fatto Quotidiano, come «un piccolo vascello corsaro». Ma evidentemente c’è pirateria e pirateria; un conto è quella del Fatto ben altra cosa è quella della Sea Watch 3 capitanata da Carola Rackete. Ieri ad Otto e Mezzo Travaglio ha dovuto, suo malgrado, difendere la posizione di Matteo Salvini. Lo ha fatto non tanto a causa di simpatie salviniane quanto perché attualmente la posizione del ministro dell’Interno sui migranti è la stessa del MoVimento 5 Stelle.

Quello che non torna nella versione di Travaglio sulla Sea Watch

Travaglio fornisce la sua versione dei fatti spiegando che prima di decidere di fare ingresso nelle acque territoriali italiane la nave «aveva rinunciato non si sa bene per quale motivo a recarsi nei porti più vicini e più sicuri come quelli della Tunisia e di Malta». Secondo il direttore del Fatto la Ong «decide di venire in Italia perché è il paese che ha deciso di prendere di mira perché legittimamente non condivide le politiche migratorie italiane». Insomma si è tratto di una provocazione bella e buona da parte di un’organizzazione che scientemente prende di mira lo Stato italiano e che usa i migranti come strumento di lotta politica.

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Oggi sul Fatto scrive che la capitana «avrebbe dovuto far rotta sul porto sicuro più vicino: cioè in Tunisia o a Malta. Invece ha scientemente deciso di  proseguire fino a Lampedusa, per creare l’ennesimo incidente in polemica con le politiche migratorie del governo italiano, secondo il copione collaudato da altre navi della stessa Ong». A beneficio di Travaglio ricordiamo quali sono i fatti: il 12 giugno la nave della Ong soccorre 52 persone all’interno dell’area SAR libica. Come certifica il post di Salvini in quel momento i porti più vicini sono in Libia e in Tunisia. Ma il porto sicuro più vicino è l’Italia.

Perché la Sea Watch non poteva non venire in Italia

Cosa succede allora? La nave chiede alle autorità SAR (sono libici ma di fatto operano grazie ad una nave della Marina Militare ormeggiata a Tripoli) che venga assegnato un POS, come da prassi. La sedicente guardia costiera libica assegna come place of safety per lo sbarco dei migranti il porto di Tripoli. Tripoli è in Libia e come Travaglio sa bene la Libia non è un paese sicuro. Non lo è nemmeno la Tunisia perché: non ha un centro di accoglienza, pur avendo sottoscritto i trattati internazionali sulla tutela dei rifugiati non li ha mai implementati nel proprio ordinamento ed infine Tunisi non ha mai acconsentito allo sbarco dei migranti.

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Un altro fatto, di cui forse Travaglio non è a conoscenza, è che per poter andare in Tunisia (che non è considerato un porto sicuro) serve la presa in carico da parte delle autorità di Tunisi. Cosa che non è avvenuta. Il porto sicuro più vicino rimaneva dunque quello di Lampedusa. Ed è per quello che la nave ha fatto rotta verso l’Italia. Certo, avrebbe potuto dirigersi verso Malta, che è un porto sicuro, ma non essendo il più vicino sarebbe venuto a mancare quel criterio fondamentale e il rischio era quello di vedersi respingere.

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Oggi sul Fatto Travaglio dice che con questa mossa la capitana ha messo a repentaglio «la salute dei migranti dopo 14 giorni di navigazione (che sarebbero stati molti meno se fosse andata dove doveva: Tunisia o Malta)». Ma l’unico ordine era quello di sbarcare i migranti a Tripoli, non c’è mai stato nessun ordine di fare rotta sulla Tunisia o su Malta. Inoltre i giorni di navigazione (intesi come permanenza in mare, non come tempo necessario ad arrivare al limite delle acque territoriali) non sarebbero stati “molti meno”, perché la nave avrebbe dovuto rimanere al largo in attesa di ordini. Secondo Travaglio il compito delle Ong non è quello «di rilevare i carichi degli scafisti per riportarli sempre e comunque in Italia». Certo, se la Sea Watch operasse al largo delle coste del Marocco ovviamente non dovrebbe portarli in Italia, ma in questo caso la geografia non ammette deroghe, l’Italia è il paese più vicino alla Libia.

Le balle di Travaglio ad Otto e Mezzo sui migranti

Travaglio dice tutto questo non per difendere Salvini ma per difendere il governo. Tant’è che dice che è grazie a Conte che esiste un sistema di ripartizione dei richiedenti asilo. Questo è falso perché il sistema esisteva anche prima. Ma soprattutto per procedere alla ripartizione (che non è su quote obbligatorie ma su base volontaria quindi di fatto è come se non esistesse) è necessario prima procedere all’identificazione dei migranti. Cosa che può avvenire solo se li si fanno sbarcare. Secondo Travaglio poi grazie a Minniti e a Salvini non solo si sono ridotte le partenze e gli sbarchi ma anche i morti nel Mediterraneo (falso).

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Informiamo altresì Travaglio che ieri all’alba sono arrivati in porto a Lampedusa 10 migranti a bordo di un barchino. Altri 16 migranti sono sbarcati questa mattina, senza alcun problema. Nei loro confronti – così come nel caso di altri decine di sbarchi “fantasma” – non è stato messo in atto alcun blocco navale. Eppure il dispiegamento di forze per bloccare la Sea Watch è notevole. Come mai? Travaglio scrive e dice che l’unico modo per entrare in Italia è quello dei corridoi umanitari. Ma è più facile a dirsi che a farsi (istituire un corridoio umanitario e un hotspot in un paese in guerra può essere complicato e pericoloso). È vero: la soluzione al problema non può essere di affidare i soccorsi alle Ong (ma del resto la Marina Militare fa le stesse cose) né quello di chiudere i porti. Ma nemmeno lavarsi le mani come fa Di Maio o il M5S può essere considerata una soluzione.

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