Politica
Marco Travaglio e la doppia difesa di Di Matteo e Bonafede
neXtQuotidiano 05/05/2020
Dopo le affermazioni di Di Matteo sulla proposta di diventare capo del DAP ritirata, il direttore del Fatto si esercita nell’equilibrismo di difendere Bonafede senza attaccare il PM. Vediamo come è andata
Dopo le dimissioni di Basentini seguite alla scarcerazione dei boss mafiosi e alle polemiche di Massimo Giletti a Non è l’Arena, la partecipazione di Nino Di Matteo alla trasmissione su La7 ha fatto finire nei guai il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver scelto Basentini invece del PM di Palermo. Da Giletti Di Matteo ha raccontato che nel 2018 gli era stato proposto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di dirigere il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma pochi giorni dopo Bonafede ci ripensò, offrendogli il posto che fu di Falcone al ministero della giustizia presso il dipartimento degli affari penali. Ma il dott. Di Matteo il giorno successivo rifiutò per questioni personali. Oggi sul Fatto Marco Travaglio, con un buon esercizio di equilibrismo, difende il ministro senza accusare il PM. Ripartendo dalla cronologia dei fatti:
Quando nasce il governo Salvimaio,voci distampa parlanodi Di Matteo al Dap o in un altro ruolo apicale del ministero della Giustizia. E fanno impazzire i boss (che evidentemente preferivano le precedenti gestioni). Il 3 giugno il corpo speciale della polizia penitenziaria (Gom) sente alcuni di loro inveire contro l’arrivo del pm anti-Trattativa. E il 9giugno annota quelle frasi in una relazione al Guardasigilli e ai pm. Il 18 giugno, già sapendo quel che dicono i boss, Bonafede chiama Di Matteo per proporgli l’equivalente della direzione Affari penali (che già era stata di Falcone con Martelli) o il Dap. Il 19 giugno Di Matteo incontra Bonafede e dà un ok di massima per gli ex-Affari penali (questa almeno è l’impressione del ministro): ruolo che il Guardasigilli s’impegna a liberare riorganizzando il ministero e ritiene più consono alla storia di Di Matteo, oltreché alla sua esigenza di averlo accanto per le leggi anti-mafia/corruzione che ha in mente (all’epoca il problema scarcerazioni non era all’ordine del giorno). Il pm invece ritiene l’incontro solo interlocutorio.
Bonafede offre il Dap a Basentini, ma in serata Di Matteo lo chiama chiedendo un nuovo incontro. E lì, il 20 giugno, gli dice di preferire il Dap e di non essere disponibile per l’altro incarico, forse per aver saputo anche lui delle frasi dei boss. Bonafede insiste per gli ex-Affari penali, imbarazzato perché il Dap l’ha già affidato al suo collega. Invano. Il 27 giugno il Fattopubblica le frasi dei boss: a quel punto, come osserva Lillo sul Fatto, Bonafede potrebbe accantonare Basentini e richiamare Di Matteo per dare un segnale ai mafiosi; ma, per non mancare alla parola data, non lo fa. In ogni caso l’ipotesi che la contrarietà dei mafiosi l’abbia influenzato è smentita dalla successione dei fatti, oltreché dalla logica: chi vuol compiacere i boss non offre a Di Matteo il posto di Falcone, ucciso proprio per il ruolo di suggeritore di Martelli agli Affari penali, non al Dap. Ma Di Matteo si convince, memore dei mille ostacoli incontrati nella sua carriera, che “qualcuno”sia intervenuto sul ministro per bloccarlo. Intanto Bonafede continua a sperare di portarlo con sé. Ma ormai il rapporto personale è compromesso, anche se poi Di Matteo non manca di sostenere le riforme di Bonafede (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione ecc.) e la recente nomina a vicecapo del Dap del suo “allievo”Roberto Tartaglia, giovane pm del processo Trattativa. Un’altra mossa che a tutto può far pensare, fuorché a un gentile omaggio a Cosa Nostra.