Coronavirus: il test a Napoli con il farmaco Tocilizumab per l’artrite reumatoide

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-09

Il farmaco è stato somministrato a due pazienti ricoverati al Cotugno, affetti da polmonite severa da COVID-19 nella giornata di sabato “e già a distanza di 24 ore dall’infusione sono stati evidenziati incoraggianti miglioramenti”

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Grazie a una collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera dei Colli, l’Istituto dei tumori di Napoli e alcuni medici cinesi la risposta al COVID-19 potrebbe venire dalla somministrazione del Tocilizumab, un farmaco che viene solitamente utilizzato nella cura dell’artrite reumatoide, oltre ad essere un medicinale di elezione nel trattamento della sindrome da rilascio citochimica dopo trattamento con le cellule Car-T, e che è stato utilizzato in forma sperimentale per il Coronavirus SARS-COV-2.

Coronavirus: il test a Napoli con il farmaco per l’artrite reumatoide

Il farmaco è stato somministrato a due pazienti ricoverati al Cotugno, affetti da polmonite severa da COVID-19 nella giornata di sabato “e già a distanza di 24 ore dall’infusione sono stati evidenziati incoraggianti miglioramenti soprattutto in uno dei due pazienti, che al suo arrivo in ospedale presentava un quadro particolarmente critico”. Lo riferisce una nota dell’azienda dei Colli. Questo farmaco è stato utilizzato in Cina su 21 pazienti ed ora è la prima volta che viene somministrato in Italia in casi di coronavirus. Sulla scorta di questi primi elementi “si sta valutando la possibilità di trattare altri malati in condizioni critiche”.

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“Nell’esperienza cinese – spiegano Paolo Ascierto dell’Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del Pascale e Vincenzo Montesarchio dell’Oncologia dell’Azienda dei Colli – sono stati 21 i pazienti trattati che hanno mostrato un miglioramento importante già nelle prime 24-48 ore dal trattamento, che avviene in un’unica soluzione e che agisce senza interferire con il protocollo terapeutico a base di farmaci antivirali utilizzati. Qui in Italia hanno risposto subito i due pazienti napoletani. La speranza è che la sperimentazione possa risultare efficace anche sugli altri pazienti italiani”. L’ottimismo è cauto per i direttori generali dell’Azienda dei Colli e del Pascale: “In un momento come questo – dicono Maurizio di Mauro e Attilio Bianchi – è di fondamentale importanza unire le forze e le esperienze dei nostri migliori professionisti per potenziare al massimo il sistema sanitario regionale e per dotarci di tutti gli strumenti necessari per fornire ai pazienti affetti da Covid-19 tutte le cure necessarie. Ringraziamo tutto il personale delle strutture ospedaliere coinvolte che, con rapidità e grande preparazione, hanno attivato tutte le procedure necessarie per garantire ai pazienti ogni strada percorribile nel percorso terapeutico”.

Le altre cure per il Coronavirus

Il tocilizumab va quindi ad aggiungersi agli altri farmaci utilizzati in questa settimane per la cura del Coronavirus. In Cina alcuni ricercatori stanno studiando pure l’utilizzo delle cellule staminali nel trattamento di persone con Covid-19, ottenendo dei primi risultati positivi: quattro pazienti affetti da Covid-19 e che hanno ricevuto tale trattamento sono stati dimessi dall’ospedale dopo il recupero. l’Accademia cinese delle scienze ha quindi sviluppato un nuovo farmaco con cellule staminali, il CAStem, che ha mostrato risultati promettenti negli esperimenti sugli animali. Al momento è in corso uno studio clinico sulla sicurezza e l’efficacia della terapia.  Come abbiamo già raccontato, la formula più promettente è una combinazione di farmaci: il lopinavir e il ritonavir, inibitori delle proteasi virali, messi a punto in passato per bloccare l’HIV (il virus dell’Aids). Mostrano attività antivirale anche sui coronavirus. Non sono specifici, ma aiutano. Nei casi più gravi si utilizzano associati al remdesivir, un antivirale già utilizzato per l’Ebola  e potenzialmente attivo contro l’infezione da nuovo coronavirus.

Questi farmaci sono stati utilizzati anche per trattare i due coniugi cinesi ed il ricercatore italiano ricoverati allo Spallanzani in rianimazione e poi guariti. Anche in Thailandia questa combinazione ha ottenuto in un caso la scomparsa del virus nell’arco di 48 ore. Si attendono ora sperimentazioni dell’associazione di questi farmaci su larga scala. A partire dal prossimo marzo circa mille pazienti saranno arruolati in ospedali dei paesi asiatici e in altri con un alto numero di casi gravi diagnosticati.

L’obiettivo è mettere a punto il dosaggio ottimale non tossico e capire se questo protocollo funziona. Per ora viene fornito alle rianimazioni per il cosiddetto “uso compassionevole” ossia emergenze al di fuori degli studi clinici in corso. Sperimentata contro il coronavirus è anche la ribavirina, antivirale che interferisce con la sintesi degli acidi nucleici (Dna e Rna). Usato per contrastare l’herpes, il virus respiratorio sinciziale e in passato, in associazione con l’interferone, l’epatite C è un farmaco ad ampio spettro. Così la clorochina, un antimalarico sperimentato nella cura del coronavirus. Una molecola che frena le attività cellulari e quindi ostacola anche i microbi che le parassitano.

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L’efficacia non è certa e bisogna considerare gli effetti collaterali.

Lopinavir, Remdevisir, Ritonavir e ribavirina contro il Coronavirus

Ci sono poi gli antivirali ad ampio spettro e un metodo che utilizza il plasma dei pazienti guariti: il principio è lo stesso del siero antitetanico. Ma questa cura non è stata validata dall’OMS:

Dal sangue dei soggetti che hanno superato l’infezione si estraggono gli anticorpi elisi somministra ai malati. Più di un malato a Wuhan è stato curato con questa tecnica. Ciò presuppone che vi siano molti contagiati che diventino donatori di sangue dopo che siano guariti. Infine il vaccino: ce ne sono diversi allo studio messi a punto con diverse tecnologie e a diversi stadi di sviluppo per la cui disponibilità si dovrà attendere mesi. Un primo gruppo ha già prodotto anticorpi consentendo l’avvio di test sugli animali. Le regole scientifiche richiedono ricerche attente e sicure.

Anche in Italia ci sono progetti avanzati e con buone prospettive. Tra questi anche quello condotto da Alfredo Nicosia, ricercatore, docente ordinario della Federico II che già in passato ha collaborato alla messa a punto del vaccino contro l’Ebola.

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Il totale dei pazienti guariti (in verde) rispetto a quelli infetti (in arancione) Fonte: John Hopkins University

In attesa del vaccino.

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