Le scorie nucleari italiane? In Slovacchia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-11-15

I rifiuti nucleari italiani vanno messi in sicurezza ma nessun politico italiano vuole prendersi la responsabilità di creare il deposito nazionale. E allora paghiamo gli altri paesi per prenderseli, a carico del cittadino: checcefrega?

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“Una delle opzioni che stiamo valutando, di concerto con i ministeri,è la possibilità di trasferirli all’estero. Quali Paesi? La Slovacchia, per esempio”: due giorni fa il presidente della commissione Industria del Senato, Gianni Girotto, ha detto al Fatto che la maggioranza sta lavorando a una soluzione per le scorie nucleari frutto della prima (e per ora unica) stagione dell’Atomo all’Italiana. Una soluzione che è sempre la solita, visto che prevede di portare all’estero i rifiuti invece che dare loro una sistemazione definitiva nel Deposito di scorie nucleari che l’Italia deve costruire da quasi trent’anni ma, a parte gli allegri annunci di ministri come Calenda, senza aver mai fatto nulla di nulla in questi anni. Ricapitoliamo i punti principali della vicenda: la gestione dei rifiuti radioattivi e delle centrali sono attualmente affidati alla Sogin-Società gestione impianti nucleari, l’azienda dello Stato (100% del Tesoro ma supervisione del ministero dello Sviluppo) nata nel 1999 per smantellare le centrali di Caorso, Trino, Latina e Garigliano, e gli impianti ex-Enea.  Tutti i costi sono coperti dalla bolletta elettrica pagata ogni bimestre dai consumatori.

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Nucleare, i costi eterni del decommissioning (Corriere della Sera, 23 maggio 2018)

Dal 2001 ad oggi 3,7 miliardi di euro sono stati pagati dagli utenti dentro la bolletta elettrica, però solo 700 milioni sono stati utilizzati per lo smantellamento. Il resto è stato speso per i costi di gestione (1,8 miliardi per mantenere in sicurezza i siti, far funzionare la struttura e pagare il personale) e per il trattamento in Francia e nel Regno Unito del combustibile radioattivo (1,2 miliardi).

Considerando che resta da eseguire più del 70% delle attività, e che negli ultimi due anni l’avanzamento dei lavori è stato del 2%l’anno, se non ci sarà un’improvvisa accelerata, è facile prevedere che il «prato marrone» non lo vedremo prima del 2050. E ogni anno in più porterà con sé un inevitabile incremento dei costi.

Dietro questo incredibile ritardo non c’è l’indolenza dispettosa di qualche dipendente pubblico, ma l’ignavia della politica che da 30 anni e più non è in grado di indicare un luogo dove poter stipare i rifiuti radioattivi. L’ultimo a provarci fu il governo Berlusconi con Scanzano Ionico, ma dopo le proteste della popolazione e degli ambientalisti tutto si fermò. Adesso sarebbe il momento di scegliere il luogo dove dovrebbe sorgere il deposito:  la Carta delle aree idonee a ospitarlo (la famigerata Cnapi) è pronta da oltre 3 anni, ma una volta che diventerà pubblica ci sarà il solito cataclisma di proteste nelle zone individuate. Per questo nessun politico vuole mettersi nei guai con questa storia. E allora meglio darle agli altri paesi europei, a pagamento. Tanto pagano i cittadini, checcefrega.

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