Il decreto che individua le aree idonee per un deposito di scorie nucleari in Italia è in arrivo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-03-21

Il ministro dello sviluppo Calenda conta di pubblicare entro la prossima settimana il decreto per la Carta nazionale per le aree potenzialmente idonee al deposito nucleare di superficie. Che dovrebbe chiudere il ciclo del nucleare e ospitare i rifiuti radioattivi prodotti da industrie e ospedali. Ma…

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«Faremo il decreto ministeriale congiunto Ambiente-Sviluppo. Quindi, conto di fare il decreto tra questa e la prossima settimana»: il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda conta di pubblicare entro questa o la prossima settimana il decreto per la Carta nazionale per le aree potenzialmente idonee al deposito nucleare di superficie, che sarebbe quasi pronto: «Il documento ci sta arrivando. Ha fatto delle correzioni l’Ispra e le ha rimandate al ministero dell’Ambiente, abbiamo fatto il punto ieri. Il ministero deve rimandarla a noi».

Il decreto che individua le aree idonee per un deposito di scorie nucleari in Italia

Di cosa stiamo parlando? Di quella che potrebbe diventare a breve l’ennesima polemica complottistica italiana dopo la fortuna che ha indubbiamente avuto il Trattato di Caen, ma anche di un problema irrisolto che pesa nelle bollette italiane per miliardi di euro. Prima del referendum del 1987 infatti l’Italia visse una breve “stagione” di sfruttamento dell’energia nucleare, cominciata nel 1966 con la costruzione di tre centrali nucleari (Latina, Sessa Aurunca e Trino) a cui si aggiunse Caorso e, a partire dal 1982 quella di Montalto di Castro, che rappresenta un po’ l’emblema del concetto di Italiano Vero ben più che le canzoni di Toto Cutugno: fu infatti ultimata nell’anno in cui una consultazione popolare disse no all’utilizzo dell’energia nucleare, finendo di essere costruita quindi senza poter mai essere accesa.

centrale nucleare montalto di castro
La centrale ex-nucleare di Montalto di Castro

L’eredità di quella stagione breve ma intensa e i rifiuti radioattivi prodotti attualmente in Italia dovrebbero, nelle intenzioni di molti governi che si sono succeduti in questi anni, trovare dimora in un deposito nazionale dove verrà completato il ciclo nucleare italiano iniziato con la costruzione delle centrali e la definitiva bonifica dei siti che hanno ospitato gli impianti. Nel deposito andranno anche i rifiuti radioattivi prodotti nell’industria, nella medicina e nella ricerca che attualmente sono stoccati in decine di siti a livello nazionale.

La stagione nucleare all’italiana

Attualmente il decommissioning, ovvero quella procedura di smantellamento di centrali e siti nucleari retaggio del passato atomico dell’Italia, è finanziato con una voce in bolletta elettrica che ha tolto agli italiani 3,3 euro l’anno generando 1,7 miliardi di fondi per SOGIN, la società italiana che si occupa dello smantellamento, dal 2012 al 2016. Il punto centrale è stato, da vent’anni, la mancanza di un deposito nazionale per le scorie. Il governo Berlusconi nel 2003 indicò Scanzano Jonico come sede del deposito di profondità dei rifiuti nucleari delle nostre centrali in via di smantellamento creando una vera e propria mobilitazione che investì tutto il Sud e nacque il comitato Scanziamo le scorie: alla fine il governo cedette e rinviò il problema. La stessa cosa hanno fatto gli altri governi negli anni successivi.

detentori rifiuti radioattivi italia
Produttori e detentori di rifiuti radioattivi in Italia (da: Depositonazionale.it)

Nel 2014 l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha pubblicato la Guida Tecnica n. 29, contenente 28 criteri per individuare le aree idonee ad ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. L’insieme delle aree che al termine della fase di indagine risultano non escluse è andato a costituire la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) a ospitare il Deposito Nazionale.

Il deposito nazionale per le scorie nucleari

Dopo la consegna della CNAPI dovrebbe aprirsi una fase di consultazione pubblica della durata di quattro mesi in cui le Regioni, gli Enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse possono formulare osservazioni e proposte tecniche. Nel documento dovrebbero essere registrate decine e decine di aree – si parla in totale di una ventina – che potrebbero essere considerate idonee a ospitare il deposito nazionale per le scorie nucleari.

Poi, si darà inizio «all’ascolto » dei territori individuati da SOGIN e Ispra (l’istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale) secondo una serie di criteri di «sicurezza». Iter che durerà altri quattro anni e mezzo. E se alla fine un territorio sarà definitivamente scelto, sarà soprattutto conseguenza delle sollecitazioni arrivate da un altro Stato, la Francia, che vuole riconsegnare all’Italia (non oltre il 2025) i rifiuti nucleari ad alta pericolosità mandati oltralpe ormai nel lontano 2006. Rifiuti che sono stati “riprocessati” e che per altro ci sono costati quasi un miliardo di euro (insieme all’altra parte del “riprocessamento” avvenuto in Inghilterra).

Le conseguenze politiche del deposito nucleare 

Oggi subito dopo le dichiarazioni del ministro Calenda è tornato a farsi sentire proprio il comitato Scanziamo le scorie che nel 2003 vinse la battaglia contro il deposito nucleare a Scanziano Jonico in Basilicata: secondo l’associazione il governo “va oltre il campo. Deve ancora rispondere su qual è il programma per la gestione dei rifiuti nucleari sul quale l’Italia è in procedura di infrazione europea ma pensa già dove volerle mettere”. La Basilicata “non è disponibile ad accogliere un’area potenzialmente idonea ad ospitare il deposito di scorie nucleari: l’economia agricola e turistica del nostro territorio Capitale della cultura europea non deve essere compromessa”.

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Il progetto di deposito nucleare (fonte)

Insomma, già si capisce perfettamente il clima. Il governo Gentiloni ormai agli sgoccioli dovrebbe quindi procedere alla pubblicazioni delle venti aree potenzialmente idonee ma è intuibile cosa potrebbe succedere dopo. Ovvero: quando si conosceranno le venti aree potenzialmente ritenute idonee molti degli amministratori locali, spinti dalla popolazione, diranno no. Ma qui non c’è soltanto questo rischio. Visto che il governo Gentiloni è dimissionario verrà accusato di avvelenare i pozzi e nessuno si prenderà la responsabilità di portare a compimento il dossier. Per la gioia di chi paga le bollette.

Leggi sull’argomento: Trattato di Caen: la “grande vittoria” dei sovranisti sul mar di Sardegna e la Francia

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