Così Salvini tiene in ostaggio la Diciotti senza sporcarsi le mani

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-08-25

Il ministro dell’Interno non ha firmato alcun ordine. Oggi il procuratore di Agrigento sentirà i due funzionari del Viminale. La scusa della norma “pattizia” e i reati di sequestro di persona aggravato, abuso d’ufficio e arresto illegale

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Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sarà oggi a Roma per ascoltare (al momento nella veste di testimoni) il capo del Dipartimento delle Libertà civili, il prefetto Gerarda Pantalone, e il vicecapo del Dipartimento Bruno Corda, ex prefetto di Como, arrivato al Viminale nel luglio scorso nel primo movimento di prefetti di Matteo Salvini una volta approdato al ministero dell’Interno.

Così Salvini non firma gli ordini per tenere in ostaggio la Diciotti

La storia della Diciotti ha infatti messo in luce il modus operandi del ministro, che finora non ha firmato nessun ordine riguardo la questione. Per questo la procura di Agrigento partirà da Pantalone e Corda allo scopo di trovare risposta ad alcune domande: chi ha dato l’ordine di bloccare la Diciotti al largo di Lampedusa e chi ha poi disposto il mancato sbarco dopo l’arrivo a Catania? Le direttive sono sfociate in una somma di reati come sequestro, arresto illegale e abuso d’ufficio. Se dalle indagini dovesse venir fuori una responsabilità evidente del ministro Salvini o del ministro delle Infrastrutture, la strada obbligata sarebbe quella di rimettere gli atti al Tribunale dei ministri. Per sequestro di persona e arresto illegale gli atti passerebbero al Tribunale dei ministri di Palermo, trattandosi di fatti avvenuti nell’area siciliana. Mentre per l’ipotesi di abuso di ufficio, reato eventualmente consumato in uffici di governo,scatterebbe un ricorso al Tribunale dei ministri di Roma, visto che ogni distretto giudiziario ha un collegio competente.

salvini diciotti
I passaggi a rischio reato nella vicenda Diciotti (La Repubblica, 25 agosto 2018)

I quattro punti sotto osservazione da parte della magistratura sono riepilogati oggi da Repubblica: dopo il soccorso il Viminale non ha indicato alla Guardia Costiera il porto sicuro al quale fa approdare la Diciotti, poi indirizzata in una “area di transito” del porto di Catania per poter simulare operazioni in corso. Gli ordini non sono stati trasmessi per iscritto: dal Viminale alla prefettura di Catania e di qui al comando della nave ci sarebbero state solo disposizioni orali. Quando ci sono state, perché il comandante della Diciotti Massimo Kothmeir ha dichiarato di aver saputo degli ordini di non far sbarcare nessuno una volta arrivato a Catania soltanto dai media. Il regolamento di disciplina del personale del Viminale, poi, impone di opporsi all’esecuzione di ordini illegittimi e il reato che si configura è il sequestro di persona aggravato. Le persone a bordo non sono state ancora identificate, atto previsto dalle norme sull’immigrazione come preliminare di ogni decisione.

Le norme violate per ordine di Salvini

Insomma, il ministro che a parole dice ai magistrati di indagare lui perché responsabile di quanto accade sulla nave Diciotti, nei fatti non ha dato ordini scritti e così potrebbe dire proprio ai magistrati dopo aver chiesto di poter testimoniare. Spiegano oggi Carlo Bonini e Salvo Palazzolo che tutto è avvenuto senza che il ministro, in vacanza a Pinzolo, ma in servizio permanente su Twitter e Facebook, abbia impartito una sola indicazione per iscritto:

Si è mosso infatti il suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi (cercato ieri da Repubblica, il prefetto non era reperibile, così come del resto si è resa irreperibile – «È in ferie, ne ha diritto anche lei» – il prefetto di Catania) per trovare la gabola con cui giustificare la presa in ostaggio dei migranti. Una “norma pattizia” che regola il coordinamento delle operazioni in mare tra ministero dell’Interno e Guardia Costiera (la cosiddetta Sop 009/2015) e che, per ragioni di semplice efficienza, attribuisce al Viminale il potere di indicare alle Capitanerie nelle operazioni Sar il “porto sicuro di approdo”.

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Le nazionalità dei naufraghi dichiarate al momento dello sbarco e quelle della Diciotti (Corriere della Sera, 24 agosto 2018)

Una disposizione di valore giuridico assolutamente residuale, perché subordinata alla legge penale e alle norme amministrative oltre che, va da sé, alle Convenzioni internazionali e alla Costituzione, e in questo caso, usata per aggirarle. Alla Diciotti è stato infatti indicato un approdo “di transito”, il molo di Levante di Catania, appunto, per simulare, giuridicamente, una condizione non di arrivo in porto (con conseguente obbligo di sbarco) ma di “operazione ancora in corso”.

Una mossa da azzeccagarbugli che, nelle intenzioni di chi l’ha partorita, avrebbe dovuto mettere al riparo il ministero da contestazioni penali e dare tempo ai suoi complici a Palazzo Chigi, il vicepremier Luigi Di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, di agitare un’estorsione ai danni dell’Unione europea.

Il codice penale contro Matteo Salvini

Il ricatto all’Unione Europea d’altro canto ieri non ha portato a nulla, spingendo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a minacciare ulteriori (e misteriose) ritorsioni. Antonio Esposito sul Fatto Quotidiano scrive che “Questo tracotante ministro va fermato e questo dovere spetta all’autorità giudiziaria che ha l’obbligo di far rispettare il principio costituzionale, cardine di uno Stato di diritto, secondo cui “tutti sono uguali di fronte alla legge e tutti soggetti alla legge”. E non è del tutto condivisibile l’affermazione del pur coraggioso Procuratore della Repubblica di Agrigento Patronaggio per il quale “farli scendere (i migranti) non è nel mio potere”. Questo perché  era possibile emettere un “provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia”, previsto dall’articolo 650 del codice penale per dare attuazione al diritto obiettivo e impedire che il reato di sequestro di persona perdurasse e, comunque, fosse portato a conseguenze ulteriori.

salvini codice penale

Intanto all’alba del nono giorno di sequestro per la nave Diciotti si profila una soluzione: identificare i profughi a bordo per avviare un accertamento sommario dello status di richiedente asilo come previsto dalla legge Bossi-Fini.  Il governo si è deciso a sbloccare lo stallo attuando la consueta procedura —abordo e non a terra—in modo, ha aggiunto Salvini a Radiouno, di «individuare i profughi veri, che sono la minoranza, dai finti profughi». Questi accertamenti però competono all’autorità giudiziaria in forma definitiva. E tutti i naufraghi potrebbero richiedere la protezione internazionale, mandando all’aria il magnifico piano del Viminale.

Leggi sull’argomento: Come hanno preso i patridioti la notizia dello sciopero della fame sulla Diciotti

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