«Vi spiego a cosa serve il referendum per la liberalizzazione dell’Atac»

di Maurizio Stefanini

Pubblicato il 2018-10-11

L’11 novembre i cittadini romani sono chiamati a votare sul referendum per la liberalizzazione dell’Atac. Ma sull’appuntamento il silenzio è assordante. Ne parliamo a nome dei promotori con Alessandro Capriccioli: consigliere regionale del Lazio per +Europa Radicali

article-post

Tra esattamente un mese, l’11 novembre i cittadini romani sono chiamati a votare sul referendum per la liberalizzazione dell’Atac. Ma sull’appuntamento il silenzio è assordante. Ne parliamo a nome dei promotori con Alessandro Capriccioli: consigliere regionale del Lazio per +Europa Radicali.

raggi atac linee totalmente accessibili disabili fact checking - 8

Un referendum sulla liberalizzazione: non sulla privatizzazione come spesso erroneamente si dice. Qual è la differenza?
“Confondere liberalizzazione e privatizzazione è propaganda per delegittimare il referendum. In realtà, il nostro modello è quello della messa a gara della gestione del servizio. C’è una funzione di pianificazione e controllo del servizio pubblico a Roma, che è il ruolo evidentemente più importante. Consiste infatti nel disegnare le linee, nel calcolare, nel tenere conto della domanda di trasporto pubblico nella città, nello stabilire il costo del biglietto, nello stabilire la frequenza con la quale passano gli autobus. Ma il soggetto che dovrebbe concentrarsi su queste cose in realtà oggi si occupa solo di gestire una azienda, che tutte queste cose le deve solo eseguire. E mi pare evidente che non riesca a farlo bene. Il nostro modello prevede che il Comune conservi la funzione di programmare, pianificare e controllare il servizio, ma poi ne affidi l’esecuzione materiale a chi vincerà una gara. Il servizio non diventa privato, ma resta a tutti gli effetti pubblico, perché viene pianificato, immaginato, ideato e dettagliato dal soggetto pubblico. Ma il Comune avrà la possibilità di esercitare effettivamente il controllo. Un controllo efficace presuppone infatti la possibilità di sanzioni, ma se controllato e controllore coincidono, come si può pensare che l’azienda punisca sé stessa? La privatizzazione sarebbe vendere Atac a privati che poi sarebbero loro a decidere quali linee mettere, quali fermate fare, quali zone servire in base alla loro redditività. Nel nostro modello invece queste cosa continua a farla il Comune”.

Ma ci sarebbe la possibilità di avere società in concorrenza tra di loro?
“Ovviamente la gara sarebbe aperta alla partecipazione di soggetti sia pubblici che privati. Se Atm di Milano volesse partecipare alla gara come soggetto pubblico potrebbe benissimo farlo. Una idea che è risultata vincente in molte metropoli europee potrebbe essere quella di dividere la città in lotti. In ogni zona potrebbe essersi un vincitore diverso, col vantaggio che se uno dei soggetti vincitori della gara risultasse inadempiente ci sarebbero già sul mercato altri soggetti tra cui fare una nuova gara si sarebbe agevolati dal fatto che ci sono già operatori sul mercato. Ma non dovrebbe per forza essere così. L’importante è che ci sia una gara che preveda più soggetti”.

Però non più soggetti che poi si trovino in concorrenza nella stessa zona…
“No, perché il modello si basa su un contratto di servizio. Il Comune stabilisce quelle che sono le condizioni del servizio e poi in ciascuna zona vince chi se lo aggiudica. L’unico obbligo è quello di rispettare il contratto di servizio: cosa che Atac non fa, da decenni, per non dire che non lo ha fatto mai. Intendiamoci: in giro per il mondo ci sono tante soluzioni diverse. Non c’è dubbio che il modello di erogazione del pubblico più efficiente al mondo è quello di Hong Kong, che è gestito da una società in house. Non è che la liberalizzazione debba essere per forza una soluzione per tutti i casi. Riteniamo che sia un modello irrinunciabile a Roma, perché a Roma l’esperienza del soggetto in house è stata fallimentare”.

flambus atac complotti chat m5s cause - 4

Due paure da utente. Pagherò molto di più i biglietto? Sparirà l’abbonamento intera rete?
“Non necessariamente. Poiché il prezzo del biglietto è le modalità di abbonamento continuerebbe a stabilirle il Comune, il Comune di Roma nel momento in cui scrive il contratto di servizio può benissimo stabilire che il biglietto costa un euro e 50 e che resta la tessera intera rete. Con meccanismi da stabilire, ma è importante chiarire che resta una competenza del pubblico. Dopo di che, a prescindere da ciò, c’è da fare un discorso più generale. In realtà noi non paghiamo il biglietto solo un euro e 50. Ogni romano paga inoltre circa 170 euro l’anno per i debiti di Atac. E poi, perché a Londra ci sono 2-3 auto ogni 10 cittadini e a Roma 8? Evidentemente il malfunzionamento del servizio di trasporto pubblico è causa di una serie di costi che i cittadini sono costretti a sostenere. Se si è costretti a comprarsi la macchina o lo scooter e a pagarsi i bolli e le manutenzioni perché il servizio pubblico di fatto non esiste, è chiaro che anche un incremento del prezzo del biglietto potrebbe corrispondere poi a un risparmio reale. Nel conteggio dei costi sarebbe stupido non includere tutti questi costi impliciti, che non sono costi trascurabili. Sono costi con molti zeri che superano abbondantemente l’unico zero che c’è sul prezzo del biglietto”

Si vota tra un mese, però non se ne sta parlando per niente…
“La sindaca Raggi e l’amministrazione a Cinque Stelle romana proclamano da anni di essere i paladini della democrazia diretta, ma si sono intanto subito pronunciati per l no, e hanno iniziato a fare campagna per il no sin dal momento in cui noi raccoglievamo le firme. Approfittando evidentemente di una posizione di potere, hanno subito posto le basi per una campagna referendaria non equilibrata fin dal momento della raccolta delle firme. Noi però ad agosto abbiamo depositato le firme, e come prevede lo statuto il referendum è stato indetto. Nel momento in cui il referendum è stato indetto questa non è più una iniziativa dei cittadini: è iniziativa dell’amministrazione. Diventa a tutti gli effetti una iniziativa del Comune di Roma. Attivata dai cittadini così come avrebbe potuto essere attivata dal Consiglio Comunale o dal sindaco. Ma il Comune è gravemente inadempiente rispetto alla necessità di informare i cittadini su questo appuntamento. È chiaro che se fai in modo che ci sia una scarsa partecipazione a un referendum consultivo, stai lavorando contro il referendum. Oggi i cittadini romani non sanno che ci sarà un referendum così importante l’11 di novembre. Basta andare in giro per strada a chiedere per rendersene conto. Si tratta di una grave inadempienza da parte del Comune, di fronte a una occasione storica di partecipazione che invece dovrebbe essere valorizzata in tutti i modi possibili. Al di là del merito del si o del no, ma comunque invitando i cittadini a partecipare, informando che c’è questo appuntamento, informandoli che sarà possibile andare a votare l’11 novembre per un tema così importante che riguarda la loro vita quotidiana. Ciò in questo momento non sta accadendo, e tocca a noi supplire con i nostri scarsi mezzi. Cosa interessante: abbiamo chiesto alla sindaca di inviare a casa di ciascuna famiglia una lettera molto asettica, molto imparziale in cui però sui avvertano i cittadini di questo appuntamento. È una operazione molto banale ma suggerita e consigliata dalle migliori pratiche europee e dalla stessa Commissione di Venezia per la Democrazia attraverso il Diritto. Poiché l’Amministrazione comunale ha detto che non c’erano le risorse per farlo, come consigliere regionale ho fatto approvare un emendamento in cui la Regione Lazio si rende disponibile a finanziare su richiesta del Comune proprio questa specifica attività postale di lettere ai cittadini. Questo emendamento è stato approvato tra l’altro all’unanimità da tutta l’aula del Consiglio Regionale, con un bellissimo segnale Ora siamo in attesa che la sindaca Raggi attinga a questi fondi, e ci auguriamo proprio che lo faccia”

Non era un referendum sulla Raggi ma sul servizio. Ma a questo punto non diventa anche un referendum sul sindaco?
Noi non abbiamo immaginato un referendum sulla Raggi, ma abbiamo costruito una iniziativa assieme a 33.000 cittadini romani che hanno firmato la richiesta. Noi lo abbiamo immaginato e continuiamo a immaginarlo come un referendum per i cittadini. Cioè, come un referendum che si occupa di una questione concreta molto dolente della città che secondo noi è non soltanto una questione amministrativa o una questione locale ma una questione di libertà che coinvolge la libertà di muoversi dei cittadini all’interno della città. Con tutto quello che sta succedendo sull’emigrazione e fatti i dovuti distinguo, nel 2018 abbiamo capito che la libertà di movimento è importante. Ma oggi i cittadini romani nella città non si possono muovere.. Io credo che se questo diventa un referendum sulla sindaca Raggi il merito o la colpa si deve alla sindaca Raggi. È ovvio che se lei fin dal primo momento ha cercato di ostacolare questo esercizio concreto di sovranità popolare in ogni modo possibile, allora si sta mettendo nella condizione di fare un referendum su di lei. Noi non abbiamo fatto questa iniziativa in modo strumentale, non vogliamo che sia intesa in modo strumentale, continuiamo a ripetere. Ma l’Atac è difeso dalla sindaca Raggi che addirittura l’ha definita un fiore all’occhiello: tra l’altro secondo me in modo addirittura offensivo per quelli che sono costretti ogni giorno a imbarcarsi sui mezzi che vanno a fuoco, che si fermano in mezzo alla strada, eccetera.

virginia raggi atac bilancio 2017 2018 - 7
Un fiore infuocato…
Un fiore di fuoco, sì. Allora questo diventa anche un referendum sulla sindaca Raggi che si ostina a difendere l’indifendibile. Perché si ostina a presentare una immagine che è completamente diversa dalla realtà. Tra l’altro la cosa interessante è che quando la sindaca Raggi non era sindaca ma consigliera comunale all’epoca del sindaco Marino il gruppo del Movimento Cinque Stelle era favorevole alla messa a gara. Che è poi l’indicazione europea: non dimentichiamo che oggi le città che decidono di affidare il servizio di trasporti pubblico in house fanno una scelta che comporta una decurtazione del 15% delle rimesse che vengono fatte alle città dal Fondo Nazionale dei Trasporti. In questo modo la Raggi sta pure diminuendo le risorse che dallo Stato arrivano alla città di Roma per gestire il servizio di trasporto pubblico. Evidentemente per tutto quello che la sindaca Raggi sta facendo o non sta facendo col trasporto pubblico è chiaro che questo sta diventando anche un referendum sulla sindaca Raggi.

Leggi sull’argomento: I veri numeri della famosa “rinascita” di ATAC

Potrebbe interessarti anche