Economia
PNR: la storia dell’Italia che non ha mandato all’Europa il Programma Nazionale di Riforma
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-07-20
Quando la storia ha cominciato a circolare non risultava che l’Italia avesse mandato il documento. C’è però un motivo tecnico che va spiegato. Nel frattempo la pagina della Commissione Europea è stata aggiornata e il documento adesso compare
Mentre il negoziato sul Recovery Plan e su Next Generation EU deve ancora concludersi, circola su Facebook e Twitter la foto che vedete qui sopra in cui si elencano i paesi che hanno mandato il Programma Nazionale di Riforme (PNR o National Reform Programme 2020) tra i quali non c’è l’Italia. La prima fonte della foto è questa ma ce ne sono altre tra cui qualcuna poi cancellata. Nel frattempo la pagina della Commissione Europea è stata aggiornata e il documento adesso compare.
PNR: la storia dell’Italia che non ha mandato all’Europa il Programma Nazionale di Riforma
Il primo punto da segnalare è che effettivamente quando la storia ha cominciato a circolare non risultava che l’Italia avesse mandato il documento. C’è però un motivo tecnico che va spiegato: il Programma Nazionale di Riforma è stato approvato in consiglio dei ministri il 6 luglio e fa parte del Documento di Economia e Finanza pubblicato sul sito del ministero dell’Economia e delle Finanze. Né il DEF né il PNR sono stati però approvati dal parlamento, dove ancora si attende di discuterlo. Alcune fonti del MEF hanno detto all’ANSA che “in questa procedura l’Italia ha deciso di avvalersi della possibilità concordata in Europa, quindi in pieno accordo ed in continuo dialogo con la Commissione europea, di non approvarlo insieme al resto del Def per evitare di varare un documento pre-covid di scarso contenuto informativo e insufficiente respiro strategico”. Il Piano, sottolineano le stesse fonti, è stato elaborato tenendo conto della discussione in atto sul Recovery and Resilience Fund, una caratteristica che fa del Pnr italiano “un documento più avanzato e dettagliato rispetto a quello della gran parte degli altri Paesi europei. Include infatti i principi che ispireranno il prossimo Recovery Plan. La scelta dell’Italia di presentare un Pnr post Covid che fungesse da base per il Recovery Plan è quindi non solo legittima dal punto di vista delle regole europee ma anche ambiziosa. Se l’Italia si è distinta, in questo caso lo ha fatto in positivo”.
Il Programma nazionale di riforma, spiega invece l’AGI, è un documento previsto dal regolamento europeo nell’ambito della Strategia di Lisbona e che normalmente accompagna il Documento di economia e finanza ad aprile. L’emergenza Coronavirus ha tuttavia portato a uno slittamento dei tempi per consentire ai singoli Paesi di capire meglio l’impatto della crisi e, soprattutto, la reale entità dei fondi europei in campo per affrontarla. Per questo l’Italia è l’unico Paese che deve fornire a Bruxelles il Pnr 2020 “perché deve ancora tenersi l’obbligatorio passaggio parlamentare prima dell’invio a Bruxelles”, come ha spiegato il Mef. Quest’anno il programma acquista un’importanza particolare perché rappresenta un primo nucleo del Recovery Plan, attraverso il quale, previa approvazione dei 27 Paesi membri, si decidera’ in che modo verranno spesi trasferimenti e prestiti che sono stati assegnati all’Italia dall’Unione europea. Nel Pnr vengono indicate le riforme strutturali che l’esecutivo intende mettere in atto nel corso degli anni a seguire. I Pnr, che hanno una valenza triennale, individuano le priorità, accorpando in 3 macro aree le 24 linee guida: la prima parte riguarda le misure macroeconomiche e di politica di bilancio, la seconda include le riforme strutturali e microeconomiche, la terza si sofferma sulle politiche del lavoro. Nel 2011, con il passaggio dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020 e l’istituzione del Semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio, il Pnr è confluito nel Documento di economia e finanza. La responsabilità della sua redazione è così passata al dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia, d’intesa con il dipartimento delle Politiche europee.