Fact checking
Perché non c’è ancora l’accordo in Europa sul Recovery Fund
Alessandro D'Amato 20/07/2020
Con la forma di compromesso attualmente sul tavolo cosa succederebbe alla fetta di torta di aiuti destinata all’Italia? La nostra quota totale dovrebbe salire da 170 a circa 190 miliardi di euro, ma per la parte delle sovvenzioni, cioè i prestiti a fondo perduto che non vanno rimborsati perderemmo tra i 7 e i 10 miliardi di euro su 80
Dopo essere andata avanti per tutta la notte, la ripresa dei lavori del vertice Ue che deve decidere sul Recovery Plan e su Next Generation EU slitta dalle 14 alle 16 di oggi. Lo ha reso noto il portavoce del Consiglio Europeo. Secondo quello che riferiscono le agenzie di stampa ancora non è stato trovato un accordo sulla dotazione di sovvenzioni per il Recovery Fund. I Frugali ora sarebbero vicini ad accettare di spostare la loro linea rossa a 375 miliardi, ma resta da vedere se gli altri leader siano disposti ad abbassare il margine di 400 miliardi, su cui fino ad ora hanno tenuto il punto. I negoziati proseguono.
Perché non c’è (ancora) l’accordo sul Recovery Plan oggi
Chi vuole vedere il bicchiere mezzo vuoto farà notare che siamo al terzo giorno di trattativa e ancora non si è trovato un accordo. Chi lo vuole vedere mezzo pieno farà notare che se fosse impossibile trovare un accordo il vertice sarebbe stato cancellato e non riconvocato. E ora che anche Capitan Ovvio ha avuto il suo momento di gloria, andiamo a vedere su cosa si sta attualmente litigando. Sul tavolo delle decisioni ci sono oltre 1800 miliardi, di cui 750 del Recovery Fund. Un intervento eccezionale per una situazione eccezionale, la più grave crisi economica dalla Grande Depressione. Non è soltanto la cifra a rappresentare una decisione storica: sul tavolo c’è anche un principio che è stato negato all’epoca della crisi del 2008 e che oggi invece diventerebbe praticabile nei momenti eccezionali: per reperire i fondi la Commissione si finanzierà sul mercato garantita dal bilancio UE, ovvero dai soldi di tutta l’Europa: anche se è meglio non dirlo troppo ad alta voce, questo sarebbe il primo esempio di mutualizzazione del debito nell’Unione Europea.
Il Corriere della Sera spiega oggi che uno dei punti ancora sul tavolo è il cosiddetto freno di emergenza:
Lo strumento principale del Recovery Fund prevede che agli Stati membri siano concessi dei trasferimenti a fondo perduto e dei prestiti agevolati, secondo criteri di distribuzione predefiniti, a patto che i governi si impegnino con dei piani di ripresa ad attuare le riforme indicate come priorità dall’Ue in generale (trasformazione verde e digitalizzazione dell’economia) e nelle raccomandazioni dedicate a ciascun Paese. Per l’Italia, ad esempio, vuol dire rafforzamento della sanità pubblica, riforma della giustizia e della Pa, protezione per i lavoratori, liquidità alle imprese e controllo del debito.
L’Olanda vuole che il Consiglio europeo (i leader Ue) approvi i piani nazionali di ripresa all’unanimità (anche un solo Paese può quindi bocciarli). La proposta sul tavolo invece prevede la maggioranza qualificata (il 55% dei Paesi Ue rappresentanti il 65% della popolazione europea). Per venire incontro alle richieste del premier Rutte, il presidente del Consiglio Michel ha proposto di introdurre un «freno di emergenza». Un meccanismo che interverrebbe sulla valutazione dell’attuazione dei programmi e sul raggiungimento effettivo degli obiettivi che un Paese si è dato. Se uno Stato ritiene che un Paese non stia attuando il piano come promesso può attivare il «freno» e invocare l’intervento del Consiglio perché vengano bloccati i fondi. Nell’ultima proposta, che va bene all’Italia, la decisione finale spetterebbe comunque alla Commissione Europea.
Un accordo senza l’Olanda è possibile?
Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia sono favorevoli ad aiutare i Paesi in difficoltà attraverso prestiti ma con una quota contenuta di trasferimenti a fondo perduto perché questi aiuti vengono finanziati attraverso bond emessi dalla Commissione con la garanzia del bilancio Ue. Questi Paesi sono contrari alla messa in comune del debito anche se si tratta solo di quello futuro e legato a un obiettivo specifico. Il pensiero di fondo è che i Paesi del Sud non fanno le riforme che servono loro per rafforzarsi di fronte alle crisi. “Michel non ha anticipato null’altro ma ha detto che proporrà oggi una soluzione con una riduzione dei grants a 400 miliardi e 390 miliardi. La soluzione da 400 miliardi” di sussidi nel Recovery plan “condurrebbe un maggiore sconto per i Paesi che ne hanno diritto e quella da 390 miliardi un minore sconto”, ha spiegato stamattina il presidente del Consiglio Giuseppe Conte rientrando in albergo al termine della lunga notte in Consiglio europeo. Quando Conte parla di grants intende ricordare un altro punto attualmente oggetto di dibattito: I rebates, ovvero i vari tipi di sconti sui contributi da versare a Bruxelles, concessi a Germania, Olanda e altri Paesi nordici su cui si litiga da anni. La sintesi del Fatto Quotidiano:
Per capire l’assurdità della cosa va ricordato che gli sconti vennero introdotti negli anni Ottanta per la Gran Bretagna un p o’ per motivi politici, un po’ perché il meccanismo di divisione degli oneri rischiava di svantaggiarla troppo: visto che Londra aveva i suoi rebates, la Germania pretese lo sconto sulla quota di sua spettanza dello sconto britannico. Negli anni i rebates sono cresciuti e, oltre che Berlino, riguardano oggi in vari modi Austria, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca: bizzarro che tutto questo avvenga per quattro spiccioli – circa 3,5 miliardi l’anno per la Germania, qualche centinaio di milioni per gli altri – e ancora di più che lo sconto sullo sconto alla Gran Bretagna finisca per sopravvivere pure alla Brexit…
Con la forma di compromesso attualmente sul tavolo cosa succederebbe alla fetta di torta di aiuti destinata all’Italia? Il Corriere della Sera spiega oggi che la nostra quota totale dovrebbe salire da 170 a circa 190 miliardi di euro, ma per la parte che ci sta più a cuore — quella delle sovvenzioni, cioè prestiti a fondo perduto che non vanno rimborsati — perderemmo tra i 7 e i 10 miliardi di euro su 80. Fonti europee hanno fatto sapere nella notte che mentre Austria e Olanda restano ferme sulla loro posizione, Danimarca e Svezia sarebbero pronte ad avvicinarsi alla proposta Michel. Il che mantiene sul tavolo, teoricamente, la possibilità di un accordo senza Austria e, soprattutto, senza l’Olanda di Mark Rutte la quale, spinta da forze interne al suo governo e dall’opposizione sovranista, sta facendo di tutto per mantenere il punto anche se viene attaccata sul tema della tassazione delle imprese con l’accusa di essere un paradiso fiscale. Un accordo senza l’Olanda è ancora possibile, ma il paese ha tutto l’interesse a evitare di finire sul banco dei cattivi. Il fatto che si stia ancora trattando significa che si punta all’unanimità.