Pluricandidature: così il Rosatellum aiuta ad aggirare la volontà popolare

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-02-05

Ministri e parlamentari candidati in cinque posizioni diverse per tutta Italia oltre che, magari, pronti a sfidare un avversario nell’uninominale: grazie a un complicato gioco di incastri l’elettore vedrà rientrare dalla finestra chi è uscito dalla porta. Ed è tutto in regola, bellezza!

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C’è Maria Elena Boschi che corre alla Camera nel Lazio 3, ad Enna, Bagheria, Ragusa e Mantova oltre che nel collegio uninominale del Trentino. C’è Marianna Madia che corre a Roma 1 e 2, nelle Marche, a Prato e in Calabria anche se aveva dimenticato di annunciarlo. C’è Rosa Maria Di Giorgi che corre in Liguria, Toscana 2-3), Sicilia 2 e Lazio 2. E siamo solo nel campo delle candidate del Partito Democratico.

Pluricandidature: così il Rosatellum costringe a eleggere anche chi perde

Perché poi c’è anche Cecilia Guerra di LeU che si fa tre listini in Emilia e uno in Basilicata, la leader Giorgia Meloni che è capolista in Lombardia 1, Sicilia 1 e Lazio 1, 2 e 3, Licia Ronzulli che corre al Senato a Bergamo, a Milano, a Lecco, a Bari e a Brindisi mentre Renato Brunetta va a Venezia, Vicenza e Padova e Matteo Salvini è in corsa al Senato a Milano, a Roma, in Liguria, in Calabria e in Sicilia quando la new entry Giulia Bongiorno è in Liguria, nel Lazio 2, in Sicilia 1, in Lombardia 5 e in Piemonte 1. Questa è l’era delle pluricandidature, bellezza, e con il Rosatellum non puoi farci proprio niente.

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Alcune delle pluricandidature alle elezioni del 4 marzo 2018 (Corriere della Sera, 5 febbraio 2018)

La legge elettorale con cui si voterà il 4 marzo è un sistema misto: una quota di parlamentari, circa un terzo, è eletta in collegi uninominali mentre la parte restante con metodo proporzionale, attraverso listini bloccati e senza preferenze. Votando per il candidato che si presenta nel collegio uninominale, il voto si trasferisce automaticamente anche alla lista o alle liste che lo sostengono, che di solito sono composte da quattro nomi presenti sulla scheda, così come il contrario: votando la lista si trasferisce il voto al candidato del collegio nell’uninominale. Ma mentre il candidato nel collegio finisce in parlamento solo se vince la sfida, il candidato che si trova nel listino uninominale da capolista viene eletto se la lista passa la soglia di sbarramento al 3%. Per questo le pluricandidature sono così gettonate ed è meglio essere nel listino rispetto al collegio.

Così si aggira l’alternanza uomo/donna

E c’è anche un altro “buon” motivo per pluricandidare ad esempio una candidata donna: spiega oggi il Corriere della Sera che i nomi ripetuti a raffica sulle schede elettorali, dalla Lombardia alla Sicilia, risultano decisivi anche ad aggirare i paletti delle quote di genere che stabiliscono l’alternanza uomo/donna nei listini e un rapporto del 60-40% tra i capilista dei due sessi. Una donna capolista in cinque regioni, per esempio, potrebbe far «scattare» ben 4 colleghi di partito posizionati al secondo posto dei listini. Una bella furbata, no?

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La scheda del Rosatellum Bis e le due possibilità di voto

Il Partito Democratico ha abusato dello strumento utilizzando candidature di donne in tutta Italia: mentre Renzi corre all’uninominale a Firenze, in Umbria e in Campania, la Boschi con Madia, Fedeli e Di Giorgi si trova nell’elenco delle pluricandidate. Così come Paolo Rumani e Renato Brunetta per Forza Italia, che registra anche una serie di pluricandidature per le parlamentari più in vista: Anna Maria Bernini, Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo, Deborah Bergamini, Micaela Biancofiore e Licia Ronzulli. Nella Lega oltre a Salvini e Bongiorno c’è anche Barbara Saltamartini che attraversa tutto il Lazio mentre Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia si presenta in cinque regioni d’Italia diverse.

Le ragioni di Anna Falcone sulle pluricandidature

Ma la regola non vale solo per PD, Lega, FdI e Forza Italia: anche Liberi e Uguali ha le sue candidate imprescindibili come Anna Falcone e Lucrezia Ricchiuti, così come i leader del partito (Grasso, Bersani, Fratojanni, Civati) sommano un numero inferiore di candidature. La stessa Falcone, nelle liste di Liberi e uguali, nel Lazio, in Friuli, a Sondrio in Lombardia e in Veneto, in terre lontane dalla sua regione d’origine, ha spiegato in un’intervista pubblicata sul Fatto Quotidiano: “La mia scelta è stata condivisa con tante persone. Tante volte ci siamo tirati indietro e le cose non sono cambiate. La legge elettorale non l’abbiamo scelta noi. Ma ora dobbiamo impegnarci dall’interno per cambiare le cose”.

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L’intervista di Anna Falcone sulle pluricandidature

E il paracadute delle pluricandidature? “Non credo sia un paracadute correre in aree e regioni dell’Italia dove la sinistra non vince da tempo. Il mio è un impegno. Roma è la città dove ho studiato e vivo. Friuli? Lì ho trovato persone che sono venute a ringraziarmi, le candidature nazionali servono a portare più voti”.

Il secondo della lista e la volontà popolare

E c’è anche chi ha ben presente l’importanza delle pluricandidature soprattutto perché il candidato poi dovrà decidere quale collegio rappresentare. La decisione è importante perché fa scattare l’elezione per il secondo della lista.

Per il Pd, i candidati «a seguire» delle capolista Boschi, Madia, Fedeli e Di Giorgi sono, tra gli altri, Stefano Ceccanti e Filippo Sensi in Toscana, Luciano Pizzetti e Alan Ferrari in Lombardia, Michele Anzaldi e Luciano Nobili nel Lazio, Stefano Graziano in Campania, Matteo Richetti in Emilia. Idem per Forza Italia: nei listini, i «numeri due» che vengono dopo le pluricandidate azzurre del Senato si chiamano, tra gli altri, Luigi Amicone, Giacomo Caliendo, Francesco Giro.

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Rosatellum, dove si candidano i ministri (Corriere della Sera, 21 gennaio 2018)

Ecco quindi che il Rosatellum diventa così un metodo per sovvertire in qualche modo la volontà popolare, come spiega Dino Marturano: «Davanti a questo «sudoku», l’elettore gioca al buio. Per esempio, i voti espressi a Bolzano nel collegio uninominale che contrappone Maria Elena Boschi (Pd) e Micaela Biancofiore (FI) potrebbero finire lontano. Se perso nello scontro diretto, il seggio della Boschi potrebbe scattare nel Lazio, a Bagheria, a Ragusa, a Enna o a Mantova. Allo stesso modo, se sconfitta, la Biancofiore verrebbe recuperata in Emilia e nello stesso listino di Bolzano». Uno sconfitto in un collegio può sperare nel ripescaggio. Ed è tutto in regola, bellezza.

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