Perché Unicredit lascia Mediobanca

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-11-07

Collocamento di Bofa e Morgan Stanley senza impatto sul capitale. Incasso di 800 milioni che “saranno usati per supportare la crescita dei clienti”. Del Vecchio resta primo socio ma perde un alleato nella battaglia per la governance dell’istituto. E su Generali…

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Unicredit vende sul mercato l’intera quota dell’8,4% in Mediobanca e chiude così un capitolo di storia della finanza italiana di cui era azionista fin dalla nascita dell’istituto di piazzetta Cuccia ovvero da 73 anni, attraverso il Credito Italiano. La portata storica della decisione si comprende soltanto attraverso la storia di Mediobanca, salotto buono della finanza italiana che con Enrico Cuccia aveva visto il suo massimo splendore e prima con Vincenzo Maranghi, erede designato di Cuccia, e poi con Cesare Geronzi, aveva ricavato dal suo accordo di governance e dal controllo di fatto delle Assicurazioni Generali il suo potere e la sua influenza, diventati entrambi sempre più deboli nella storia del capitalismo italiano.

Perché Unicredit lascia Mediobanca

Il numero uno della banca Jean Pierre Mustier ha informato della delibera appena assunta dal consiglio della banca non solo il suo omologo in piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, la Banca d’Italia, la Consob, il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. I più sollevati dalla notizia, spiegano le fonti interpellate, sono stati i vertici di Mediobanca. Infastiditi nelle settimane scorse dalle voci di una “alleanza” tra Leonardo Del Vecchio e la stessa Unicredit per cambiare radicalmente la governance dell’istituto, a cominciare dal ruolo dello stesso Nagel.  Bank of America Merrill Lynch e Morgan Stanley hanno ricevuto l’ordine di vendita e lo stanno gestendo senza concentrare gli acquisti in capo a un unico soggetto ma cercando di distribuire le quote: spiega Gianluca Paolucci sulla Stampa che la formula scelta, il cosiddetto accelerated bookbuilding, prevede che le banche incaricate raccolgano gli ordini dagli investitori per prezzo offerto e quantità richiesta e successivamente lo assegnino lo assegnino ai richiedenti massimizzando l’incasso per l’acquirente e la distribuzione sul mercato.

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Chi conta in Mediobanca (La Repubblica, 7 novembre 2019)

La Stampa spiega anche il motivo della decisione:

Altra rassicurazione arrivata da Mustier è stata quella sulla tutela dell’italianità di Mediobanca e di conseguenza delle Generali. Con piazzetta Cuccia che, avrebbe spiegato il banchiere, adesso può contare su socio italiano autorevole, solido e di peso come Leonardo Del Vecchio, forte del 7,5% in Mediobanca e di una quota in Generali dove si trova accanto altri azionisti forti come Francesco Gaetano Caltagirone e il gruppo De Agostini.

D’altra parte Mustier, dopo che la sua proposta di un patto tra i soci forti di Mediobanca più rigido era risultata perdente, in favore del patto “morbido” più gradito agli altri soci e ai vertici dell’istituto, aveva dichiarato di ritenere la quota una partecipazione finanziaria. Ovvero, pronta per essere valorizzata qualora le condizioni di mercato lo avessero permesso.

Con il titolo ormai vicino agli 11 euro per azione – ieri, prima dell’annuncio, ha chiuso a 10,78 – rispetto al valore di carico che nel bilancio 2018 era a 9,89 euro per azione, la vendita sul mercato consente anche di portare nella casse di piazza Gae Aulenti una non disprezzabile plusvalenza che dovrebbe arrivare a circa 800 milioni di euro.

Mediobanca, Unicredit e Leonardo Del Vecchio

Sta nella connessione tra Del Vecchio e Mustier il motivo del disimpegno di Unicredit da Piazzetta Cuccia: il banchiere francese si era schierato con Del Vecchio nel suo progetto di trasformare lo Ieo – l’Istituto europeo di oncologia, fondato da Umberto Veronesi e da Enrico Cuccia – in una cittadella della salute, contro una cda a trazione Mediobanca che ha preferito proseguire dritto con il piano precedente. Ma non voleva seguirlo nel progetto di scalata che ha spinto il padrone di Luxottica a chiedere l’autorizzazione alla BCE per salire fino al 20% dal 7,5% che oggi possiede e, soprattutto, a cambiare il management che oggi è ancora espressione della gestione Cuccia:

La sua idea per Mediobanca è anzitutto sostituire due grandi soci francesi in uscita – Mustier lo ha fatto ora, Vincent Bolloré, terzo azionista al 6,73%, potrebbe seguire presto – con un nuovo azionariato stabile e italiano. L’italianità dell’azionariato, per l’imprenditore, è un punto fondamentale che sarebbe stato già riportato nei colloqui informali con Bankitalia, a cui deve seguire un nuovo sviluppo di Mediobanca, a colpi di acquisizioni, come polo finanziario che possa non più dipendere dalla sua partecipata più eccellente, le Generali (di cui ha il 13%), ma contribuire invece allo sviluppo delle assicurazioni di Trieste anche con un aumento di capitale. E con ciò dare una sveglia anche alla capitalizzazione del Leone, svantaggiata rispetto agli altri concorrenti europei come Axa.

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Mediobanca e Unicredit, i protagonisti (La Repubblica, 7 novembre 2019)

Francesco Manacorda su Repubblica spiega che ora l’idea di fare di Mediobanca una public company è più vicina:

Il percorso dal salotto al mercato, dai «debitori di riferimento» ai fondi internazionali, che dopo l’uscita di Unicredit arrivano al 40% del capitale, per lui è una buona notizia anche se lo stesso Nagel sostiene da tempo che Mediobanca è già a tutti gli effetti una «public company». Adesso la sua sfida è convincere tutti i soci – non solo Del Vecchio, che diventa comunque primo azionista della banca e che no è esattamente un fan dell’amministratore delegato – che la strada imboccata da tempo è quella giusta.

E dunque meno banca d’affari, che in piazzetta Cuccia a differenza di quel che ritiene il patron di Luxottica considerano un business destinato a dare scarse soddisfazioni reddituali, e sempre più settori meno blasonati ma più redditizi, come il credito al consumo – sì proprio la plebea cessione del quinto dello stipendio – o la banca online. E poi sempre una attenta vigilanza sul Sacro Graal della casa: quel 13% di Generali che stacca ottimi dividendi e che a parole si potrebbe anche lasciare, ma nei fatti poi…

Ma si andrà a scontrare con i piani di Del Vecchio, che da una parte spinge per abolire la regola sul management di guida di piazzetta Cuccia che può essere scelto soltanto al suo interno (inimicandosi così Nagel &  Co. oltre alla tradizione che ha portato avanti per tre quarti di secolo il salotto buono della finanza italiana), e dall’altra cerca per Generali un socio che la metta al riparo dal rischio scalate. Ma saranno entrambi obiettivi difficili da raggiungere, visto che  vengono meno le indiscrezioni che volevano Mustier pronto a inglobare Piazzetta Cuccia per spostare l’asse delle Generali verso Axa.

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