Perché Salvini rischia di andare al tappeto sull’Autonomia Differenziata

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-07-10

Era facile chiedere l’Autonomia quando si prendevano voti solo nelle regioni ricche del Nord. Ora che Salvini ha sfondato al Sud (è stato eletto al Senato in Calabria) sostenere la causa autonomista di Veneto e Lombardia potrebbe creargli qualche problema dal punto di vista elettorale. Riuscirà il Capitano a far credere a quelli che chiamava “terroni” che la Lega oggi mette prima gli italiani e non solo il Nord?

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Matteo Salvini ha un problema, e quel problema non sono le accuse di sessismo o i migranti a bordo delle navi delle Ong. Ci sono promesse che si possono anche non mantenere (vedi riduzione delle accise sulla benzina) e promesse che invece non è possibile non mantenere. Non stiamo parlando della Flat Tax, il vicepremier ormai ha smesso di dare i numeri o giocare con le percentuali delle aliquote. Semplicemente non si farà per tutti al 15%, come promesso. E non c’entra nemmeno l’eventuale aumento dell’Iva, di quello proprio se ne sono perse le tracce. Un chiaro indizio che nel governo non hanno idea di come evitarlo.

Perché l’Autonomia nelle regioni del Nord danneggia Salvini

Il problema di Salvini si chiama “Autonomia regionale differenziata“. Perché non farla gli costerebbe i voti del Nord, dei veneti e dei lombardi, che l’hanno chiesta a gran voce tramite due referendum farsa. Ma concedere a Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna l’autonomia rischia di costargli ancora più caro: i voti di tutti gli italiani che vivono sotto il Po, in particolare quelli delle regioni del Sud dove ultimamente la Lega (non più Nord) sta facendo man bassa di voti. Perché la tanto agognata (al Nord) autonomia non è esattamente come ce l’hanno raccontata in questi mesi. Non è vero che non spaccherà l’Italia, non è vero che saremo tutti più ricchi assieme. C’è una regione in particolare che punta a diventare uno stato a sé. Quella regione è il Veneto di Luca Zaia.

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Le 23 materie su cui il Veneto ha chiesto l’autonomia

A rivelarlo sono le bozze di accordo sull’Autonomia del 15 maggio 2019, anticipate qualche giorno fa dal Quotidiano del Sud e pubblicate ieri sul sito Roars.it. Perché proprio il Veneto? Mentre l’Emilia-Romagna ha chiesto l’attribuzione di competenze su 16 materie, la Lombardia su 20 la Regione governata da Zaia ha chiesto di poter legiferare su tutte e 23 le materie di legislazione concorrente previste dal comma 3 dell’articolo 117 della Costituzione. Alcune richieste sono comuni: ad esempio quelle riguardanti la “regionalizzazione” dell’Istruzione ivi compresa l’edilizia scolastica, l’elaborazione dei piani di valutazione dell’apprendimento e l’assunzione dei dirigenti scolastici e del personale. Ma le tre regioni chiedono anche di poter prendere in carico la gestione di porti e aeroporti civili e soprattutto delle reti nazionali di trasporto: strade di competenza dell’ANAS passerebbero dal Demanio alla Regione.

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Ma il Veneto avanza anche un’ulteriore richiesta: «la Regione Veneto subentra allo Stato quale concedente nelle tratte autostradali comprese nella rete autostradale nazionale insistenti nel  territorio veneto». Questo significa che sarà la Regione a decidere le concessioni delle tratte autostradali e quindi ad incassare i proventi dei pedaggi. Con buona pace di chi al governo vorrebbe una “nazionalizzazione” delle autostrade. E non va dimenticato che quelle autostrade “venete” sono state costruite con i soldi di tutti gli italiani. Salvini ha di fronte a sé un compito non facile, deve far credere ai terroni che l’Autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna è a loro vantaggio. Se è riuscito a far dimenticare di quando la Lega insultava gli italiani del Sud probabilmente ci riuscirà. A prezzo di spaccare l’Italia.

Ma è un’Autonomia o una secessione?

Questo è solo uno degli esempi di quello che significa nel concreto Autonomia. O meglio: di quello che il Veneto (ma anche la Lombardia in misura diversa) intende per Autonomia differenziata. Il punto centrale sono naturalmente i soldi: le risorse che dovranno essere trasferite dallo Stato centrale alle Regioni in cambio delle maggiori competenze in capo alle regioni. La bozza di accordo prevede che entro un anno dall’entrata in vigore dell’accordo dovranno essere stabiliti per ogni materia i fabbisogni standard. Ma qualora dopo un anno dall’entrata in vigore dei decreti attuativi sull’Autonomia ma che «decorsi tre anni dall’entrata in vigore dei decreti qualora non siano stati adottati i fabbisogni standard, l’ammontare delle risorse assegnate alla Regione per l’esercizio di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui alla presente intesa non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse».

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Tradotto: al Veneto andranno più soldi. E ci andranno ad esempio per una Cassa Integrazione Guadagni su base regionale per la quale in Veneto chiede le risorse finanziarie necessarie (la CIG però è finanziata dalle tasse di tutti i lavoratori) «nonché l’esercizio delle funzioni in materia di ammortizzatori sociali, sulla base di intese con il ministero del lavoro e della previdenza sociale, nel rispetto di quanto previsto dal decreto sul reddito di cittadinanza».

Che Autonomia vuole il MoVimento 5 Stelle?

Sanità regionale, istruzione regionale, strade e autostrade gestite dalla regione e pure gli ammortizzatori sociali. Si capisce perché oggi in un’intervista sul Mattino Luigi Di Maio abbia detto che sì, che l’Autonomia si deve fare presto ma non a costo di danneggiare le regioni del Sud. Il M5S vorrebbe l’introduzione di un fondo di perequazione in base al quale un eventuale maggior gettito nelle tre regioni del Nord potrebbe essere utilizzato a favore delle Regioni del Sud. Peccato che nelle bozze dell’intesa di questo fondo non si parli affatto e che né al Presidente della Lombardia Fontana né a Zaia l’idea del fondo perequativo vada giù. Per loro sarebbe un accordo al ribasso perché significherebbe tradire la promessa principale: quella delle risorse che rimangono al Nord. La Ministra del Sud Barbara Lezzi invece ribadisce che «un testo scritto non c’è ancora». Ma è chiaro che al M5S questa bozza non piace proprio.

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Ma anche per l’Autonomia non è tutto oro quello che luccica. Prendiamo ad esempio il tema della tutela dell’Ambiente. Su questo punto gli accordi sono ancora in alto mare. La Regione Veneto avrà il potere di determinare quali rifiuti potranno entrare nel territorio regionale per lo smaltimento nelle discariche o negli impianti di termovalorizzazione, significa che in caso di emergenze altrove il Veneto potrà decidere di non dare una mano (ma naturalmente potrà continuare a guadagnare sui rifiuti di Roma come fa già ora). Ma se si vorranno costruire nuovi impianti di incenerimento, chiede Zaia, servirà il parere della Regione. Così come la VIA e il VAS saranno di competenza regionale.

Il Veneto che si fa Stato e vuole gestire anche i flussi migratori

Cosa rimane da chiedere per diventare uno Stato autonomo a tutti gli effetti? In questi mesi di battaglia sui migranti abbiamo imparato che una delle materie di competenza esclusiva dei singoli stati membri sulle quali l’Unione Europea non ha potere è il controllo dei flussi migratori. Ogni Stato europeo decide per sé quanti lavoratori stranieri fare entrare nel proprio territorio. Anche il Veneto punta ad ottenere (ma non c’è il parere favorevole dei ministeri) un accordo simile.

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Nell’ultima pagina della bozza infatti si legge che «la Regione del Veneto definisce la programmazione delle quote regionali di ingresso per motivi di lavoro dei cittadini extracomunitari in rapporto alla capacità di assorbimento del proprio tessuto economico produttivo». Il piano di programmazione delle quote di fabbisogno, si legge, sarà di durata triennale e verrà comunicato al Ministero dell’Interno alla fine di ogni triennio. Se non è una Regione-Stato questa, cos’altro lo è?

Leggi sull’argomento: Il condono per finanziare la flat tax

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