Fact checking
Il PD furioso con Matteo Renzi
Alessandro D'Amato 06/03/2018
Gentiloni contro il segretario, Minniti e Delrio furiosi, mentre i fedelissimi del Giglio Magico gli suggeriscono di rimanere in sella: il segretario nel suo labirinto che somiglia sempre più a un bunker. E l’ipotesi di un appoggio a un governo Di Maio a fare da apriscatole
Matteo Renzi è riemerso ieri nel tardo pomeriggio dal bunker del Nazareno dopo aver cercato di metabolizzare una sconfitta soprattutto personale con il solito piglio da renziano vero: ha cercato di addossare le ragioni di una débâcle inequivocabile agli altri. In un discorso della durata di appena sei minuti, mentre i tantissimi yes-men di cui si circonda da anni pubblicavano foto commosse dal backstage per dimostrare che loro stavano dalla sua parte, è riuscito ad accusare chi non ha voluto farlo votare nel 2017 (Gentiloni e Mattarella), chi ha votato no al referendum (ancora?) e chi voleva da lui un passo indietro (Franceschini, Orlando e molti dei suoi ora per lui passati al nemico).
Il PD furioso con Matteo Renzi
La tattica elaborata mentre per tutto il giorno si sono rincorse voci di dimissioni ha previsto l’annuncio che lascerà il posto di segretario soltanto dopo che sarà formato il nuovo governo (magna tranquillo!), la convocazione della direzione del Partito Democratico in cui si presenterà dimissionario e l’annuncio, credibilissimo, che d’ora in poi lui, che ha preso un sacco di voti a Firenze, farà il senatore semplice senza tanti grilli per la testa.
Il segretario ha prima registrato un messaggio alla Nazione che ha pubblicato sulla sua pagina Facebook (e non su quella del Partito Democratico) e poi è uscito per parlare ai giornalisti fuggendo subito dopo l’ultima parola per evitare domande e considerazioni del “nemico”. I suoi piccolifans intanto chiusi nei gruppi Facebook gli chiedevano di tenere duro, non mollare e lui li ha accontentati. Il dettaglio è che con quelle considerazioni si è messo contro tutto il resto del partito, compresi i grandi sponsor della sua ascesa. Certo, nessuno di loro ha l’appeal elettorale che ha dimostrato di avere Matteo nel 2014, ma è anche vero che quattro anni in politica sono a volte la differenza tra la preistoria e l’età moderna.
Gentiloni arrabbiato con Renzi
La sensazione è che Renzi abbia ormai esaurito il suo percorso politico da leader di massa, quello del “Con Renzi si vince” che risuonava nella bocca di tanti Dem che nel frattempo hanno dovuto ingoiare tante sconfitte. Oggi Goffredo De Marchis su Repubblica certifica la voragine che Matteo ha scavato tra sé e gli altri leader PD, a partire da Gentiloni:
Dopo averlo sentito nella studio a Palazzo Chigi insieme con i collaboratori, era «arrabbiato», «deluso», «sorpreso». «Mi ha dato dell’inciucista. Lui a me! Un’accusa spudorata. Sa bene che qui nessuno pensa a fare accordi con nessuno». Ha spiegato di essere «sconvolto» per il discorso di Renzi, per la ricostruzione della sconfitta e soprattutto per le dimissioni finte.
Conoscendolo ha capito che non si fermerà, che travolgerà tutto compreso il loro sodalizio. «D’ora in poi aggiungerà sfida a sfida. La prossima sarà proporre la Boschi come capogruppo alla Camera». Come se fosse quello il problema, assestare uno schiaffo, prendersi la rinvincita da giocare tutta dentro il recinto del Pd.
E non finisce qui. Subito dopo il discorso di Renzi, l’ex capogruppo PD Zanda pubblica una nota critica nei suoi confronti. Zanda vuol dire Franceschini. Ma non solo lui:
Quel pronunciamento è condiviso da molti. L’elenco è lungo. Anna Finocchiaro, Marco Minniti, Gianni Cuperlo, Andrea Orlando. Sulla chat degli orlandiani qualcuno scrive: «È matto», riferito a Renzi. Il ministro della Giustizia risponde con una faccina sorridente. «Sta avvelenando i pozzi», scrive il lettiano Marco Meloni. Proprio ciò che pensa l’ex premier in esilio a Parigi.
Carlo Calenda trova giusta la linea dell’opposizione, sbagliato tutto il resto. «I tecnici avrebbero consegnato il Paese agli estremisti? Semmai è accaduto il contrario. In tutti i sondaggi il governo aveva un gradimento altissimo, di molto superiore al partito», attacca il titolare dello Sviluppo.
La differenza tra una vittoria e una sconfitta
Tra i renziani Graziano Delrio è l’unico collocato in una posizione critica, come si conviene alla sua figura che è sempre stata una delle poche capaci di contraddire e criticare il leader. Bonifazi, Boschi e gli altri fedelissimi del Giglio Magico hanno alla fine convinto il segretario a non fare immediati passi indietro con l’obiettivo di impedire che il Partito Democratico finisca per fornire al MoVimento 5 Stelle i voti necessari a varare il governo Di Maio.
Spiega oggi La Stampa:
La scelta di Renzi di gestire comunque in prima persona le consultazioni al Quirinale, le nomine dei presidenti delle Camere, di stabilire in solitaria il percorso congressuale, ha preso in contropiede tutti. E l’irritazione è alta. Marco Minniti per esempio non ha gradito affatto di esser stato trattato in conferenza stampa come uno bravo, che però ha perso pure col reprobo dei 5stelle. E dunque è partita la «guerra civile» nel Pd. Il leader controlla al momento l’assemblea nazionale, dove i numeri sono in percentuali 7020-10 distribuiti tra Renzi, Orlando ed Emiliano. Ma la sollevazione di ieri sera di tutti i big potrebbe preludere ad una battaglia sul filo dei voti.
E Michele Emiliano? «Ho avuto difficoltà a convincere perfino i miei parenti a votare per il Pd,e le assicuro che mi ritengono un bravo amministratore. Tutto questo accade per colpa di Renzi: la gente gli ha votato contro», dice in un’intervista al Fatto Quotidiano in cui propone al suo partito di appoggiare dall’esterno un governo Di Maio. La rivolta è partita e la guerra civile che si preannuncia nel Partito Democratico tra renziani e non-renziani farà altri morti ed altri feriti. «Muoia Sansone con tutti i filistei»? Può darsi. Ma Renzi non ha alcuna voglia di fare il Sansone.