Paccheri alla trabaccolara

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-09-19

Un mio amico è stato recentemente a Viareggio e mi ha parlato di uno squisito piatto di pesce della cucina locale: pasta alla trabaccolara. Mi è subito venuta in mente la mia gioventù. Il trabaccolo era una imbarcazione di pesca dell’Adriatico usata agli inizi del secolo scorso. Era una evoluzione della paranza in quanto mentre …

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Un mio amico è stato recentemente a Viareggio e mi ha parlato di uno squisito piatto di pesce della cucina locale: pasta alla trabaccolara. Mi è subito venuta in mente la mia gioventù. Il trabaccolo era una imbarcazione di pesca dell’Adriatico usata agli inizi del secolo scorso. Era una evoluzione della paranza in quanto mentre le paranze, per trascinare le reti in mare, dovevano procedere appaiate (da cui il loro nome), con il trabaccolo si riusciva a pescare con una sola imbarcazione grazie a un marchingegno che teneva allargata la rete. A Viareggio “trabaccolari” erano chiamati i pescatori di San Benedetto del Tronto che, alla fine della Prima Guerra Mondiale, poiché l’Adriatico era tutto minato, furono costretti a trasferirsi in Versilia. Erano poveri ma ingegnosi. Nella mia fanciullezza si indicava con trabaccolaro una persona povera capace di adattarsi, anche con molta fantasia, alla vita. Furono quasi subito accettati anche se un po’ di tensione devono averla creata, considerando che nel 1920 a Viareggio ci furono le “giornate rosse”: tumulti originati da una partita di calcio Viareggio-Lucchese. Un guardialinee (viareggino) fu freddato da un carabiniere intervenuto per “placare” i tifosi che si erano ribellati alla decisione arbitrale di assegnare un rigore a favore della Lucchese all’ultimo momento. Scoppiò una rivoluzione: a Viareggio fu proclamato il primo Soviet d’Italia, e i tumulti furono soffocati solo grazie all’intervento dell’esercito.

 

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La nostra storia #trabaccolari #viareggio #sanbenedettodeltronto

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La comunità trabaccolara ebbe una grande influenza per molto tempo. Alla fine della seconda Guerra Mondiale si recarono in delegazione dal Generale Clark per chiedere lo sminamento del Tirreno affinché potessero riprendere a pescare. La presenza dei trabaccolari a Viareggio ai tempi della mia infanzia era ancora evidente: il pescatore da cui si serviva mia madre, Dante, era fiero di essere trabaccolaro. La pescheria “La Menichina” dove andavo a lavorare, da studente, per racimolare i soldini con cui andare a mangiare la pizza con gli amici, era gestita da trabaccolari (originari di Martinsicuro per l’esattezza). Adesso l’unico segno dei trabaccolari è rimasto nella gastronomia: nella pasta alla trabaccolara, un riuscitissimo piatto di cucina sanbenedettese in variante viareggina. Pensare ai trabaccolari mi ha fatto venire tanti personaggi della mia gioventù: il Dottore Tobino (scrittore, direttore del manicomio di Maggiano e titolare della farmacia omonima del Mercato), il Dottore Ramacciotti (che raccontava che da bambino vedeva Puccini seduto in passeggiata a sorseggiare il caffè), la Robertona (una virago alta due metri, pesante 150 kg di muscoli che utilizzava una bicicletta rinforzata perché una bicicletta normale non reggeva la sua pedalata), la Billi (la bellissima majorette della banda musicale viareggina – la Libecciata- di cui tutti erano, più o meno segretamente, innamorati), il Senatore Barsacchi ( Socialista amico di Craxi, sempre vestito in modo impeccabile). Di episodi di vita viareggina mi son venuti in mente il varo del superyacht Nabila dell’emiro arabo Khashoggi e la contestazione contro i borghesi del ’68 culminata con il lancio di uova contro i ricchi clienti della Bussola di Bernardini.

Insomma tanti ricordi della mia Viareggio, quando era, ancora, una cittadina, sicuramente provinciale, ma con la sua anima. Una immigrazione, prima dal Meridione ed adesso dal Terzo Mondo, ha reso la città anonima. Non più storie e personaggi condivisi. Come si fa a non capire che l’Uomo ha bisogno del suo villaggio e dei suoi miti? La società liquida è un incubo infernale per degli animali sociali come noi. Il Populismo nasce proprio dall’imposizione di un modello di società che farà ricche le élite ma che è inaccettabile ed alienante per il cittadino normale. Abbiamo bisogno di una rete sociale, non di essere rincoglioniti dalla TV e dai Social. Non ci sono più punti di aggregazione. Perfino l’oratorio e la parrocchia hanno abdicato al loro ruolo di collante sociale rendendo, di fatto, inutile e superfluo il ruolo della Chiesa nella nostra società. Il fatto che molti cristiani Italiani preferiscano la religione popolare e concreta ostentata da Salvini ai discorsi astratti terzomondisti del Papa, fa intuire lo scollamento profondo fra vertici (religiosi e politici) e i cittadini. La massa, privata delle radici e di punti di riferimento, non si riconosce più nelle autorità e cerca di contare nella Brexit, nel populismo, nei gilet gialli e nel sovranismo. Per il momento le élite riescono a tenere sotto controllo questa insoddisfazione popolare, ma, la storia insegna che, se non si affrontano le radici di questo malessere, il rovesciamento di questa classe dirigente sarà inevitabile.

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